Marco Politi, tra i massimi esperti di Vaticano a livello mondiale, giornalista di lungo corso e analista lucido delle dinamiche ecclesiastiche e geopolitiche della Chiesa cattolica, è intervenuto a Casa Radio nella trasmissione Buongiorno Italia, ospite del direttore Giovanni Lacagnina, per offrire una riflessione a tutto tondo sul pontificato di Papa Francesco, in occasione dello speciale dedicato alla sua scomparsa.
Nel corso dell’intervista, Politi ha tracciato un bilancio articolato degli undici anni di Bergoglio sul soglio pontificio, definendoli senza esitazione come una rivoluzione incompiuta, titolo che dà anche nome al suo prossimo libro in uscita a maggio.
Un pontificato rivoluzionario
Fin dall’inizio, Francesco ha mostrato di voler portare la Chiesa fuori da vecchi schemi dottrinali e istituzionali. “Ha aperto brecce e tracciato nuove strade”, ha detto Politi. L’attenzione del Papa è stata rivolta soprattutto alle periferie, non solo geografiche, ma anche esistenziali: gli emarginati, i poveri, gli esclusi.
Tra le innovazioni più significative, spiccano:
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Il riconoscimento del diritto di cittadinanza delle persone omosessuali nella Chiesa, riaffermando più volte che “sono tutti figli di Dio”.
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L’inclusione delle donne in ruoli decisionali, con la storica decisione di concedere loro il diritto di voto nei Sinodi mondiali, per la prima volta dopo 1700 anni.
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La lotta contro gli abusi e la corruzione clericale, che ha portato alla rimozione di due cardinali per casi di abusi o condotte inappropriate, e al processo — con successiva riduzione allo stato laicale — di un arcivescovo nunzio, ambasciatore del Vaticano a Santo Domingo.
Tutte azioni che hanno rappresentato rotture nette con il passato, mai viste prima nei palazzi vaticani.
Una rivoluzione osteggiata: la “guerra civile” interna alla Chiesa
Ma questa spinta riformatrice, ha sottolineato Politi, non è stata indolore. All’interno della Chiesa si è generata una vera e propria “guerra civile”, uno scontro tra chi sostiene la visione pastorale e inclusiva del Papa e chi invece resta ancorato a una visione conservatrice e dottrinalmente rigida.
Il fronte dell’opposizione, alimentato anche tramite i social media, si è mobilitato con forza. Le critiche più accese sono emerse su temi come:
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La comunione ai divorziati risposati.
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Il possibile accesso delle donne al diaconato.
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La benedizione alle coppie omosessuali.
Francesco ha rotto tabù, ma nel farlo ha generato fratture profonde, portando alla luce quanto fosse fragile e complessa l’unità interna della Chiesa.
Un Papa solo, spesso osteggiato anche dentro le mura vaticane
Secondo Politi, Papa Francesco ha vissuto la sua missione in una certa solitudine istituzionale. Provenendo dal Sudamerica, non aveva legami né consuetudini con gli apparati della Curia romana. Come Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, non veniva dall’ambiente curiale, ma a differenza dei predecessori, Francesco non ha voluto rimuovere i collaboratori ereditati, preferendo mantenerli per rispetto verso chi li aveva nominati.
Questa scelta, apparentemente prudente, si è però rivelata un limite nell’attuazione delle riforme. Il Papa non ha mai avuto il pieno controllo della macchina curiale, spesso frenato da resistenze interne e compromessi silenziosi.
Le grandi opposizioni internazionali
La spaccatura ecclesiale non riguarda solo il Vaticano, ma l’intero corpo della Chiesa:
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Negli Stati Uniti, l’episcopato è spaccato verticalmente. Alcuni vescovi appoggiano Francesco, ma una parte consistente è fortemente critica, specie sui temi morali e sociali.
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In Europa orientale, le Chiese si mostrano molto conservatrici e diffidenti verso ogni apertura.
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In Africa, l’episcopato ha apertamente contestato la possibilità di benedire le unioni omosessuali, autorizzata da Francesco in specifici contesti pastorali.
Questa realtà ha mostrato come il Papa non sia più un’autorità assoluta, ma piuttosto il centro di una Chiesa frammentata e attraversata da forti tensioni dottrinali e culturali.
Il terremoto ecclesiale e il ruolo del successore
Politi ha ricordato un’espressione del cardinale Carlo Maria Martini, secondo cui la Chiesa “è in ritardo di 200 anni”. Francesco, ha detto, ha provato a colmare quel ritardo, dando uno scossone all’istituzione, ma senza riuscire a concludere il suo progetto riformatore.
Ora la palla passa al futuro Papa. La successione si preannuncia difficile e delicata. I cardinali saranno chiamati a eleggere un pontefice che possa ricomporre le fratture, trovare un equilibrio tra conservazione e riforma, e soprattutto riportare unità in una comunità ecclesiale oggi lacerata.
“Servirà una figura carismatica, un Papa pastorale, capace di dare nuovo slancio con regole giuridiche moderne e visione globale. Ma il rischio è che le lotte di fazione si prolunghino anche nel prossimo conclave”, ha ammonito Politi.
L’assenza della voce del Papa nel tempo della sede vacante
Con la scomparsa di Francesco e la sede vacante, mancherà la voce forte del Vaticano, quella che in questi anni ha cercato di farsi sentire contro le guerre, le ingiustizie, la povertà e l’indifferenza globale. La sua voce profetica ha avuto un peso notevole negli scenari internazionali, specie in tema di pace.
Un’eredità aperta
L’intervento di Marco Politi si è chiuso con una riflessione profonda: la rivoluzione di Papa Francesco è incompiuta, ma ha comunque segnato un punto di non ritorno. Il suo pontificato ha costretto la Chiesa a interrogarsi, a esporsi, a scegliere. E non potrà più tornare a essere quella di prima.
Il libro di Politi, in uscita a maggio, si preannuncia come un documento fondamentale per capire non solo ciò che Francesco ha fatto, ma soprattutto ciò che non è riuscito a realizzare. La rivoluzione è stata avviata, ora toccherà al successore decidere se portarla a compimento o ripiegarla su se stessa.