La puntata del 9 dicembre di Bricks and Music, in onda su Casa Radio, è una di quelle che fotografano con precisione il momento che l’Italia sta vivendo sul fronte dell’abitare. Niente chiacchiere generiche, niente slogan: Paolo Leccese ed Emiliano Cioffarelli prendono tre fili caldissimi dell’attualità – la riforma del Testo Unico dell’edilizia, il nuovo Piano casa inserito in manovra e lo stato di avanzamento del PNRR – e li intrecciano con la vita reale di chi compra, vende, ristruttura, affitta o semplicemente prova a capire che cosa stia succedendo al “diritto di abitare” nel nostro Paese.
Sul tavolo scorrono espressioni che negli ultimi giorni hanno riempito dichiarazioni e conferenze stampa: “Codice delle costruzioni”, “abusi storici ante ’67”, “piano alloggi per giovani e genitori separati”, “fondi PNRR già incassati ma non spesi”. Dietro la terminologia tecnica, la domanda che guida la puntata è semplice e radicale: le riforme annunciate riescono davvero a rendere la casa più accessibile, sicura e trasparente, oppure rischiano di riproporre vecchie distorsioni con un linguaggio nuovo?
Il nuovo Codice dell’edilizia: la promessa della semplificazione
La trasmissione si apre dal Consiglio dei ministri che ha dato il via libera alla legge delega sul nuovo Codice dell’edilizia e delle costruzioni, destinato a mandare in pensione, dopo oltre vent’anni, il Testo Unico dell’edilizia.
L’obiettivo dichiarato è ambizioso: razionalizzare e unificare in un unico quadro le norme edilizie, urbanistiche e sulle costruzioni, riducendo la frammentazione tra livello statale e regionale e rendendo più lineari i procedimenti amministrativi. Il nuovo Codice dovrebbe ridisegnare la mappa dei titoli abilitativi – edilizia libera, CILA, SCIA, permesso di costruire – secondo criteri di proporzionalità: meno burocrazia per gli interventi minori, maggiore controllo per le trasformazioni più impattanti.
Nelle intenzioni del legislatore, il fascicolo digitale del fabbricato diventa uno snodo fondamentale: una sorta di “cartella clinica” dell’edificio, aggiornata nel tempo, che accompagna l’immobile lungo l’intero ciclo di vita e permette a proprietari, acquirenti, tecnici e banche di avere un quadro immediato della sua storia autorizzativa, strutturale ed energetica.
Sulla carta, il disegno è quello di una vera modernizzazione: digitalizzazione dei procedimenti, tempi più certi, maggior peso al silenzio-assenso, responsabilità tecnica meglio definita. Ma, come sottolinea Cioffarelli in trasmissione, la parola “semplificazione” in Italia è stata usata molte volte senza produrre gli effetti sperati. Il rischio evocato è quello di un nuovo super-testo normativo che, invece di chiarire, aggiunga un ulteriore strato di complessità interpretativa per uffici tecnici comunali, professionisti e magistratura amministrativa.
La puntata insiste su un punto chiave: perché il nuovo Codice diventi davvero uno strumento di semplificazione, dovrà essere scritto in modo chiaro, coerente e soprattutto applicabile sul campo, evitando sovrapposizioni e rinvii che costringano gli operatori a navigare tra circolari, pareri e linee guida spesso in contrasto tra loro.
Abusi edilizi “storici” e la soglia del 1° settembre 1967
Uno dei passaggi più delicati della riforma, e quindi della puntata, riguarda la gestione degli abusi edilizi. Il disegno di legge individua nel 1° settembre 1967 una data spartiacque per distinguere tra abusi “storici” e irregolarità più recenti.
Quella data coincide con l’entrata in vigore della cosiddetta “legge ponte”, che ha esteso l’obbligo di licenza edilizia sull’intero territorio comunale. Prima di allora, in molte aree del Paese – soprattutto fuori dai centri urbani – la disciplina edilizia era più sfumata, i controlli meno stringenti, la tracciabilità degli atti incompleta.
L’idea alla base della riforma è trattare in modo diverso quelle situazioni, riconoscendone la specificità storica: si punta ad agevolare la regolarizzazione delle difformità minori anteriori a quella data, rendendo meno rigido il principio della “doppia conformità” che oggi rende di fatto impossibile sanare molte difformità minori, pur in presenza di una piena conformità alla disciplina urbanistica attuale.
In termini concreti, la discussione in studio ruota attorno a due messaggi:
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chi possiede immobili datati dovrebbe verificare con attenzione la documentazione e le diciture presenti negli atti, perché la collocazione temporale degli interventi potrebbe diventare decisiva per l’accesso alle nuove procedure;
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una parte del mercato immobiliare oggi paralizzata – compravendite bloccate per piccole difformità o per la mancanza di documentazione completa su interventi risalenti – potrebbe tornare a muoversi, a condizione che la normativa individui con chiarezza cosa rientra o meno nel perimetro delle sanatorie.
Leccese porta in trasmissione esempi concreti, a partire da interi quartieri residenziali romani dove il Superbonus si è fermato davanti al muro di abusi accumulati in decenni di interventi non sempre tracciati. Cioffarelli, dal canto suo, richiama la responsabilità dei tecnici: ogni norma che rivede le regole della sanatoria cambia anche il perimetro di rischio per chi firma, assevera, certifica.
La linea del programma è netta: distinguere davvero tra piccoli abusi frutto di contesti normativi confusi e situazioni di speculazione strutturale; evitare scorciatoie che somiglino a condoni generalizzati; restituire però al mercato una quota di patrimonio oggi bloccata da rigidità formali non sempre proporzionate all’entità delle difformità.
Il nuovo Piano casa: canoni calmierati, riscatto e la questione salariale
La puntata dedica poi un ampio spazio al nuovo Piano casa inserito nella manovra, che prevede la creazione di alloggi a canone calmierato con opzioni di riscatto in favore di giovani, giovani coppie e genitori separati in condizione di fragilità abitativa.
L’impianto rievoca, almeno nelle intenzioni, le grandi stagioni dell’edilizia economica e popolare, quando leggi dedicate e strumenti come i piani di zona hanno permesso a centinaia di migliaia di famiglie di diventare proprietarie con condizioni agevolate. Ma il contesto economico e sociale di oggi è profondamente diverso.
In studio viene evocata la realtà di molti giovani lavoratori, inclusi profili qualificati e laureati, che si muovono tra contratti a termine, part-time involontari, compensi che spesso non superano i 700–800 euro al mese. In questo scenario, anche un canone “calmierato” rischia di essere fuori portata se non è accompagnato da una politica salariale coerente e da un mercato del lavoro più stabile.
La riflessione si allarga: il Piano casa, da solo, non può farsi carico di squilibri che nascono prima dell’accesso all’abitazione. La casa diventa lo specchio di un problema più ampio: un Paese che fatica a trattenere i suoi giovani perché non offre redditi, prospettive e servizi all’altezza dei costi reali della vita nelle città dove si studia, si lavora, si innova.
Il programma sottolinea anche il ruolo dei comuni, chiamati a intercettare e gestire le risorse del Piano casa: senza uffici tecnici adeguatamente strutturati, senza una programmazione locale che individui con chiarezza le aree di intervento e i fabbisogni reali, il rischio è quello di vedere strumenti potenzialmente utili rimanere sulla carta o concentrarsi solo nei territori già forti.
PNRR: risorse ingenti, spesa lenta e poca trasparenza percepita
La terza gamba della puntata riguarda il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’Italia è il principale beneficiario europeo del programma, con una dotazione complessiva imponente. Una quota molto significativa delle risorse è già stata erogata, a fronte del raggiungimento di obiettivi intermedi, ma il vero nodo resta quello della spesa effettiva e della capacità di trasformare gli impegni in cantieri conclusi.
Leccese richiama i numeri generali: una parte rilevante dei fondi è destinata a interventi che impattano direttamente o indirettamente sul mondo della casa, della rigenerazione urbana, dell’efficienza energetica, dei servizi nelle periferie. Eppure, in molte realtà, la percezione è quella di un PNRR “lontano”, fatto di tabelle e acronimi più che di cantieri visibili sotto casa.
In trasmissione viene posta con forza la questione della trasparenza territoriale: esiste la necessità di strumenti semplici, accessibili al cittadino comune, che indichino chiaramente dove, come e con quali tempi si stanno realizzando gli interventi finanziati. Non basta sapere che una certa percentuale delle risorse va alla “rigenerazione urbana”; serve capire se quelle risorse stanno arrivando nelle periferie degradate, nei piccoli comuni in difficoltà, nei contesti dove il disagio abitativo è più acuto.
L’altra grande preoccupazione è il rischio di riprodurre dinamiche già viste con il Superbonus: chi ha strutture amministrative solide, consulenti dedicati e capacità progettuale intercetta più fondi; chi è più fragile resta indietro. Anche nel PNRR, la differenza tra chi sa muoversi tra bandi, scadenze, piattaforme informatiche e chi non ha le stesse competenze può tradursi in un divario di opportunità territoriali.
Professionisti, famiglie e il confine tra norma e realtà
Nella parte finale della puntata, il discorso si sposta sul ruolo dei professionisti e sulla loro posizione in questo scenario di cambiamento normativo continuo.
Per tecnici come Cioffarelli, ogni riforma ha una ricaduta immediata sulla responsabilità professionale: fascicolo digitale dell’edificio, nuova disciplina degli abusi, modifiche ai titoli abilitativi significano nuove procedure da imparare, nuovi margini di rischio, nuove aspettative da parte di clienti spesso confusi e spaventati.
La casa, ricordano i conduttori, resta il principale investimento di una famiglia italiana. È il luogo in cui finiscono i risparmi accumulati, il bene che si ipoteca per ottenere un mutuo, l’asset che dovrebbe garantire sicurezza alle generazioni future. Se la cornice normativa è instabile, se i tempi amministrativi sono imprevedibili, se le regole cambiano di continuo, la fiducia nel sistema entra in crisi.
Dall’altra parte ci sono le famiglie:
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il genitore separato che rischia di perdere l’alloggio perché non riesce più a sostenere il canone;
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la giovane coppia che vorrebbe mettere radici nella città dove ha studiato ma scopre che il costo di una stanza in affitto divora quasi tutto lo stipendio;
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il pensionato che vorrebbe ristrutturare ma si trova impantanato tra certificazioni, difformità storiche e regole di accesso ai bonus.
L’impressione che costruisce la puntata è quella di un Paese in bilico: da un lato una forte disponibilità di strumenti – nuove norme, PNRR, piani straordinari, fondi dedicati – dall’altro una difficoltà evidente nel trasformare queste leve in diritti esigibili, in percorsi chiari, in opportunità accessibili a tutti.
Un osservatorio quotidiano sull’Italia che abita
La puntata del 9 dicembre di Bricks and Music mostra quanto sia prezioso uno spazio quotidiano capace di cucire insieme cronaca normativa, numeri macro e conseguenze micro.
Quando il programma invita a controllare le diciture negli atti di proprietà, a informarsi sulle nuove regole per gli abusi storici, a chiedere trasparenza sugli interventi PNRR nel proprio comune, sta svolgendo una funzione che va oltre il semplice intrattenimento radiofonico: è una piccola “educazione civica dell’abitare”, giorno per giorno.
Nel racconto che emerge dai microfoni, la casa non è mai solo metratura o valore al metro quadro: è reddito, lavoro, mobilità sociale, equilibrio tra generazioni, qualità dello spazio urbano. Ed è, soprattutto, il banco di prova della credibilità delle politiche pubbliche.
In un’Italia che annuncia nuovi codici, nuovi piani, nuovi fondi, la puntata di Bricks and Music dedicata a Codice dell’edilizia, Piano casa e PNRR ricorda una cosa semplice: finché le riforme non diventano procedure chiare per i tecnici, tutele comprensibili per i cittadini e cantieri conclusi nei territori che ne hanno più bisogno, il “diritto di abitare” resta un obiettivo, non ancora una realtà per tutti.










