L’intelligenza artificiale è arrivata nei cantieri, negli studi tecnici, nei software che usiamo ogni giorno. Eppure, sembra che facciamo ancora fatica a capirla.
Siamo circondati da strumenti intelligenti: dal BIM che simula l’intero ciclo di vita di un edificio ai modelli predittivi che ci avvisano prima che un impianto si rompa. Ma l’AI non è solo questo. È anche quella tecnologia che oggi genera immagini, scrive testi, fa calcoli, crea progetti, e in alcuni casi prende decisioni in autonomia.
Ma cosa c’è di davvero nuovo? In fondo, anche Excel, AutoCAD o il vecchio Lotus servivano per velocizzare ciò che facevamo a mano. La differenza, oggi, è che l’intelligenza artificiale non si limita a eseguire. Interpreta. Suggerisce. A volte decide.
E qui entra in gioco la responsabilità. Perché quando deleghi un ragionamento a un algoritmo, rischi di fidarti di qualcosa che non capisci. E il problema non è l’IA. Il problema è non volerla studiare. Non voler capire dove può aiutarti e dove invece va fermata.
Nel mondo dell’ingegneria, dell’architettura, della gestione dei progetti, i vantaggi ci sono: ottimizzazione dei tempi, riduzione degli errori, sostenibilità, precisione. Ma serve una nuova cultura tecnica. Serve saper leggere i dati. Saper dialogare con gli strumenti. E soprattutto, serve sapere cosa non delegare mai.
Il pericolo vero non è l’intelligenza artificiale. Il pericolo è usarla senza intelligenza.