Come ergonoma mi interesso da anni di piante per il miglioramento degli ambienti costruiti e del benessere umano e di nuove tecnologie sempre con l’obiettivo di migliorare la qualità della nostra vita. Da molti anni molte ricerche si interessano a combinare piante e tecnologia.
Ad esempio, qualche anno fa un gruppo di ricerca ha sviluppato un progetto denominato Flora Robotica, che combinava tecnologia con organismi viventi.
L’obiettivo di questo progetto fu di studiare e sviluppare le potenzialità di un connubio pianta-robot in grado di produrre artefatti architettonici e spazi abitativi.
Il gruppo di ricerca partì dal dato già conosciuto che le piante rampicanti hanno un comportamento adattivo: si muovono verso la luce e cercano attivamente di trovare qualcosa che possano toccare, afferrare e poi arrampicarsi.
Le domande che dunque i ricercatori si posero fu: cosa succederebbe se si potesse controllare questo comportamento? Si potrebbero progettare e realizzare delle forme con le piante? Si potrebbero costruire edifici con le piante?
Il primo passo del progetto fu quello di far apprendere a dei robot i modelli di crescita delle piante. Il passo successivo influenzare le piante affinché crescessero nel modo desiderato con l’aiuto della luce blu; in quanto ogni piccolo robot aveva 6 LED e la luce blu attirava le piante indirizzando la loro crescita in determinate direzioni. I robot potevano anche percepire se le piante stavano reagendo a questo meccanismo e quindi comunicare tra loro, affinché un altro robot potesse emettere altra luce blu per attirare le piante nella direzione desiderata.
E attraverso queste fasi si far crescere una casa.
Ciò significa che all’inizio si costruisce l’abitazione con un materiale di partenza, in modo da non dover aspettare anni affinché essa sia pronta, e quando le piante si sono sviluppate si rimuove il materiale di partenza.
Inizialmente, il materiale utilizzato per le strutture era la plastica, economica e facilmente reperibile. In seguito passarono al legno.
Secondo i ricercatori “All’inizio i costi sarebbero più alti e poi a lungo termine, poiché è più ecologico, farebbe effettivamente risparmiare sui costi”
E cosa accadrebbe col tempo alla nostra casa-pianta? Se le piante morissero che fine farebbe la casa? In realtà molte piante possono vivere anche secoli. Inoltre le piante viventi possono autoripararsi: tagliata una parte ne crescerà una nuova, ancora più forte.
Un esempio perfetto sono i ponti nella giungla indiana. I cittadini creano “ponti di radici viventi”, guidando e legando insieme le radici di piante e alberi per formare un ponte. Nel tempo, le radici rimangono vive e diventano sempre più forti, rendendo il ponte più robusto.
Flora robotica è finito come progetto ma il gruppo di ricerca, guidato da Heiko Hamann, è impegnato in un altro programma di ricerca: WatchPlant.
WatchPlant si focalizza sul monitoraggio della qualità dell’aria nelle città tramite le piante. Il gruppo vuole sviluppare un sistema di organismi bioibridi intelligenti, in pratica piante che si combinano con componenti di intelligenza artificiale e interfacce tecnologiche.
Le piante viventi naturali vengono utilizzate come sensori, esposte alla stessa aria per settimane, mesi, anni, respirando CO2, consentendo la misurazione dell’inquinamento nell’aria con le loro reazioni biochimiche alla qualità dell’aria.
Un altro affascinante progetto vede coinvolta una nostra ricercatrice Barbara Mazzolai, biologa di formazione, che guida il gruppo che ha creato FiloBot, un robot che è in grado di auto-costruirsi.
Il progetto parte dalla considerazione che le piante si muovono nell’ambiente, ad esempio, allungandosi alle estremità dei germogli e delle radici in risposta a stimoli esterni, come luce o gravità.
Il robot FiloBot è stato ideato in modo che costruisca il proprio corpo, tramite una tecnica di stampa 3D additiva integrata nel robot, crescendo da una delle sue estremità proprio simulando la crescita apicale delle piante. Il materiale usato è un filo in termoplastica (PLA) che gira intorno all’asse del corpo del robot.
Il movimento di FiloBot è guidato da alcuni sensori ambientali che riproducono le capacità sensoriali delle piante rampicanti. Il robot cresce rispetto alla luce, è in grado di sentire la forza di gravità e di analizzare il tipo di luce che lo circonda, e di conseguenza determinare la direzione di crescita. Questo fa sì che FiloBot acquisisca configurazioni diverse ogni volta che viene rilasciato nell’ambiente. Queste capacità adattive possono essere applicate nel monitoraggio ambientale in ambienti altamente complessi e pericolosi, in terreni sconosciuti e mutevoli.
Barbara Mazzolai è coordinatrice anche del progetto I-Seed. L’obiettivo è quello di realizzare dei robot biodegradabili, ispirati ai semi delle piante, che serviranno per il monitoraggio del suolo.
In questo caso però i ricercatori si sono concentrati sui movimenti lenti, come ad esempio una pigna che si apre e si chiude o un seme che penetra nel suolo.
Tramite dei sensori entrano in contatto con il parametro da misurare, per esempio il livello di mercurio nel suolo o nell’aria, e diventano fluorescenti. Questa fluorescenza viene poi misurata da una tecnologia di telerilevamento trasportata con dei droni che pattugliano le aree dove sono stati rilasciati i semi-robot.
Queste non sono tecnologie sofisticate quanto quelle di laboratorio, ma possono affiancare le tecniche tradizionali come il prelievo e l’analisi di campioni di suolo e di aria in laboratorio, e rivelarsi utili in zone remote o in paesi poveri, laddove non siano presenti strategie di monitoraggio. Un aiuto significativo lo potranno dare all’agricoltura di precisione, perché permetterà di conoscere meglio la composizione del suolo, dell’aria e altri parametri.
Tanti sono i robot bioibridi progettati o allo studio.
Minuscoli robot bioibridi realizzati con neuroni di topo sono in grado di camminare e nuotare, robot nuotatori per l’esplorazione degli oceani sono stati creati utilizzando cellule di medusa.
Utilizzare cellule animali nei biorobot è però costoso e presenta complicazioni etiche, dunque meglio rivolgersi alle cellule vegetali.
E dunque se un fungo permettesse di azionare un robot? Senza spreco di energia elettrica?
I ricercatori hanno iniziato coltivando i miceli, la rete di filamenti che collega i funghi nel sottosuolo e permette loro di comunicare, dai funghi cardoncelli.
I cardoncelli sono facili da coltivare e i ricercatori hanno coltivato il fungo e guidato i suoi miceli a crescere su un’impalcatura stampata in 3D piena di elettrodi.
I miceli interconnessi emettono impulsi elettrici in risposta ai cambiamenti dell’ambiente. Poiché la rete miceliare è collegata a elettrodi, i suoi impulsi elettrici possono comunicare con l’interfaccia di un computer. Il computer converte quindi gli impulsi elettrici in comandi digitali, che vengono inviati ai motori dei robot, dicendo loro, ad esempio, di muoversi in avanti.
Che forma hanno questi robot?
Ad esempio quella di una stella marina che contrae le cinque zampe per spostarsi sul terreno.
Come verranno utilizzati questi robot bioibridi?
La nuova tecnologia potrebbe essere utilizzata in agricoltura: i funghi sono estremamente sensibili e robot come questi potrebbero rilevare contaminanti chimici, veleni o agenti patogeni nei campi coltivati meglio dei robot sintetici.
I funghi possono anche sopravvivere alle radiazioni meglio di altri organismi, quindi, potrebbero aiutare a rilevare le radiazioni in siti pericolosi.
Che le piante siano fondamentali per noi umani ce lo raccontano da tantissimi anni studi condotti in ambito sociologico, medico, psicologico ed ergonomico, dimostrando l’influenza delle piante sui comportamenti umani.
Sono stati analizzati gli effetti sulla salute umana e la risposta psicofisiologica in ambienti di lavoro rispetto alle diverse vedute dalle finestre – naturali, artificiali e in assenza di contatti visivi con l’esterno – e rispetto all’assenza o presenza di piante da appartamento. I ricercatori hanno rilevato nei lavoratori i livelli di nervosismo e le manifestazioni fisiche degli effetti delle vedute e delle piante utilizzando l’elettromiografo, l’elettroencefalografo, il blood volume pulse. I partecipanti risultavano meno nervosi o ansiosi se l’ambiente interno permetteva un contatto visivo con elementi naturali, esterni o interni. Risultati particolarmente rilevanti per la salute mentale e cardiovascolare.
Il contatto con la natura, oppure a elementi a essa afferenti, influisce positivamente anche sui tempi di recupero da un infortunio ed effetti benefici sono riscontrabili anche sul comportamento dei bambini.
La realizzazione di tetti verdi, schermature verdi, orti urbani, dunque apporta oltre a benefici ambientali anche benefici psico-fisici.
Lo spazio naturale inoltre ha il potenziale per affrontare il problema urgente dell’isolamento sociale e, di conseguenza, della cattiva salute mentale dei residenti di ambienti urbani densi.
Vi ricordo che la prossima room GrandiDonne di ‘donna immagine città’ su Clubhouse si terrà il prossimo 26 novembre alle 21:00.
La novità? Andremo in diretta anche su Linkedin.
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