Una storia che vive tra le dita e il cuore. E che parte da un panno verde.
Sì, perché la puntata è diventata un viaggio a ritroso nel tempo. Non solo in quello professionale, fatto di format, ministeri, bioarchitettura e buone pratiche internazionali, ma soprattutto nel tempo dell’anima. Quello di un ragazzo che giocava a Subbuteo con gli amici, tra tornei inventati, gol immaginari e calciatori scelti col cuore.
È lì che entra in scena il numero 9. Non un numero a caso. È il suo Borgonovo. Quello scelto per caso durante una vacanza a Ventotene, dopo una cotta estiva e per via di un legame, ancora inconsapevole, con Como, la città della ragazza. E così, tra Paolo Rossi e la magia della Nazionale, Gianni sceglie Borgonovo per la sua squadra di Subbuteo. Non sapeva che quella scelta gli avrebbe cambiato la vita.
Quel numero 9 lo ha accompagnato ovunque. In tasca, nel portafoglio, sul comodino, fino in teatro, fino alla laurea. Quel piccolo omino, con la maglia azzurra, ha segnato più gol di tutti nella sua personale lega Subbuteo. Ed è stato testimone silenzioso anche nei momenti più bui.
Gianni racconta con voce rotta la sua malattia a 18 anni, il tumore, i mesi in ospedale. E la notizia che lo scosse in quel momento: Stefano Borgonovo, il suo idolo, convocato in Nazionale. Un segnale, una coincidenza, una connessione che da quel momento non lo avrebbe più abbandonato.
Anni dopo, attraverso una serie di incastri improbabili e persone incontrate per caso, Gianni riesce a parlare con Stefano. Al telefono, con una voce impacciata, gli racconta tutta la sua storia. Borgonovo lo ascolta, si emoziona. Nasce un dialogo, fatto di messaggi, di silenzi, di sguardi. E quando la malattia colpisce anche Stefano, quella relazione si trasforma. Gianni diventa memoria viva, racconta a Stefano la sua carriera, gol dopo gol, squadra dopo squadra. Per restituirgli, con delicatezza e gratitudine, ciò che aveva ricevuto anni prima. Un aiuto silenzioso, ma concreto.
L’incontro fisico avverrà solo alla fine. In una clinica, quando ormai Stefano non parla più, ma comunica con gli occhi. Cinque minuti di silenzio e sguardi. Tanto basta per rivedere tutta la propria adolescenza, tutti i sogni appoggiati su quel panno verde.
Gianni ha poi scritto questa storia. È diventata una sceneggiatura, ha vinto un premio, ha ricevuto l’incoraggiamento di Chantal, la moglie di Stefano. Ma soprattutto, è diventata qualcosa che va oltre la narrazione. È diventata un ponte tra generazioni. L’ha raccontata ai suoi figli, ha fatto gol in partite per la Fondazione Borgonovo, ha trasmesso la passione per il gioco, per la memoria, per il rispetto.
E qui arriva la frase che chiude tutto, che resta addosso anche dopo che la puntata finisce. La frase con cui Gianni racconta il senso profondo di questa storia:
“Non sei fregato davvero finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla.”