Don Bosco, tra cemento, sogni e pellicole

Contributo audio del prof. Mario Pisani storico e critico d’architettura.

Don Bosco nasce negli anni ’50, figlio di un tempo in cui Roma doveva reinventarsi. Dopo la guerra, la città esplode: servono case, in fretta. E così nascono i quartieri di edilizia popolare, tra cui proprio questo, pensato come “quartiere satellite”, autosufficiente.

 Le abitazioni che vediamo qui sono tipiche del periodo: palazzine razionali, lineari, da 4 a 8 piani, con facciate sobrie, talvolta rivestite in mattoni o intonaci semplici. Spesso con balconi profondi, pensati per la vita all’aperto, per stendere, parlare, osservare. È l’architettura moderna, funzionale, influenzata dalle idee del razionalismo italiano e dell’urbanistica postbellica.

 Nessun decoro superfluo, ma una pulizia geometrica, un ordine visivo che voleva dare dignità anche alle case più semplici. L’arte, qui, era nel disegno stesso dello spazio: nella serialità, nella proporzione, nella luce tra un edificio e l’altro.

 Ma Don Bosco non è solo un quartiere dormitorio…

 È una città nella città, progettata con un’idea chiara: qui si deve poter vivere. Non solo dormire. E allora spuntano scuole, negozi, giardini… e soprattutto una chiesa. Ma non una qualsiasi: la Basilica di San Giovanni Bosco.

 Progettata da Gaetano Rapisardi, viene consacrata nel 1959 e subito si impone con la sua presenza severa ma accogliente. È moderna, essenziale, monumentale. Il bianco del travertino si mescola al cemento, la verticalità delle colonne guida lo sguardo verso l’alto. Non c’è barocco, non c’è ornamento. C’è luce, spazio, respiro. È la chiesa di un nuovo mondo.

E poi, improvvisamente, tra queste linee dritte, una chiesa. Ma non una chiesa tradizionale.

La Basilica di San Giovanni Bosco, consacrata nel 1959, è un esempio raro di architettura religiosa moderna, fortemente influenzata dal razionalismo ma con una monumentalità tutta sua. Fu progettata da Gaetano Rapisardi, che riuscì a creare un edificio imponente ma aperto, luminoso, quasi metafisico.

 All’esterno colpisce subito il ritmo delle colonne bianche, che si stagliano contro il cielo. L’interno è arioso, a tre navate, con uno spazio centrale immenso, privo di elementi decorativi barocchi o medievali: qui parla la luce, il bianco, la verticalità.

 Gli elementi decorativi – mosaici, vetrate – sono misurati, e servono a guidare lo sguardo, non a sovraccaricare. È una chiesa pensata per accogliere, non per stupire. Una chiesaabitabile”.

 In quegli anni, era una dichiarazione forte: l’arte sacra non doveva più guardare al passato, ma parlare il linguaggio del presente. Essere contemporanea.

…E accanto, l’oratorio salesiano. Perché Don Bosco, il santo, era quello dei giovani, della formazione, del gioco come forma educativa. L’oratorio è campo da calcio, teatro, sala studio. È un rifugio, un punto fermo. E ancora oggi, a distanza di decenni, è lì che pulsa la vita del quartiere.

Eppure, c’è un’altra arte che abita Don Bosco. Quella del cinema.

Siamo a due passi da Cinecittà. E allora accade qualcosa di curioso. Tra questi palazzi tutti uguali, queste strade ampie come viali americani, a volte si girano film. Don Bosco diventa location per storie di borgata, drammi familiari, commedie di quartiere. Gli attori attraversano la strada in pausa pranzo, i carrelli da ripresa sfilano accanto ai bar, e i bambini guardano incuriositi dal marciapiede.

Qui, l’immaginario collettivo si mescola con la realtà. Abitare Don Bosco significava anche sfiorare, per un attimo, il sogno del cinema.

Abitare l’arte, in questo quartiere, ha significato allora vivere in una scenografia concreta. Una scenografia vera, fatta di sacrifici, di costruzione, di educazione, ma anche di sogni. Quelli girati su pellicola, e quelli coltivati in oratorio.

Oggi Don Bosco è ancora così. Con le sue contraddizioni, le sue voci, i suoi ricordi. Ma anche con una bellezza silenziosa, quotidiana. La bellezza di un’arte abitata.

Io vi saluto qui, davanti al portone della Basilica, mentre i bambini dell’oratorio cominciano a correre sul campo da calcio. Alla prossima puntata, con un altro luogo, un’altra storia. Perché abitare l’arte, a volte, è solo una questione di sguardo.

Ascolta ora il Podcast:

ABITARE L’ARTE | Don Bosco
Puntata del 28/04/25
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