Dal mediatore al consulente: l’agente immobiliare che presidia relazione, patrimonio e identità

Nell’intervista a Casa Radio, Ilaria Insardi (Coldwell Banker Italy) racconta la trasformazione della professione: dall’intermediario “apri-porte” al consulente capace di leggere stili di vita, costruire narrazioni solide degli immobili, orchestrare sinergie tecniche e utilizzare la tecnologia per liberare tempo da dedicare alla relazione.

L’agente immobiliare sta cambiando pelle. Non più soltanto mediatore che accompagna visite e chiude trattative, ma consulente che presidia la relazione, governa la complessità documentale, interpreta stili di vita e integra competenze finanziarie, giuridiche e tecniche. È la fotografia che emerge nitida dalla conversazione andata in onda su Casa Radio (“Bricks & Music”), dove Ilaria Insardi, manager di Coldwell Banker Italy, tratteggia un profilo professionale più maturo, capace di coniugare empatia e disciplina, racconto e verifica, tecnologia e prossimità. Sullo sfondo, la scelta identitaria della campagna “Siamo l’Italia”: un co-branding implicito tra un marchio internazionale storico e il “brand Paese” che diventa contenuto e cornice della proposta di valore.

La svolta consulenziale: dal prezzo al portafoglio, dal sopralluogo alla strategia

“Formarsi è fondamentale a prescindere dal segmento”, premette Ilaria Insardi. Ma nel pregio l’asticella si alza e la formazione da sola non basta se non cambia la postura con cui si entra in una casa e si parla con la proprietà. L’agente-consulente non insegue l’affare come evento isolato: governa un processo, difende una reputazione, si muove dentro una strategia. È chiamato a leggere l’immobile come tassello di un patrimonio più ampio e spesso intergenerazionale, in cui le scelte residenziali hanno impatti fiscali, successori e finanziari.

Da qui discende un mestiere che sconfina, legittimamente, in ambiti limitrofi: dialogo con private banker e notai, allineamento con legali e tecnici, pianificazione dei passaggi documentali, regia delle verifiche urbanistiche e catastali. Niente improvvisazioni: servono metodo, check-list, governance del rischio. L’agente-consulente diventa così un orchestratore di competenze, in grado di tenere insieme la dimensione patrimoniale e quella esistenziale che ogni casa inevitabilmente porta con sé.

Lifestyle come grammatica dell’offerta: leggere la domanda prima di proporre

Il termine più ricorrente nell’intervista è “lifestyle”. Non un’etichetta di marketing, ma la grammatica che orienta l’intero ciclo della consulenza. Una casa non è solo posizione, metri quadri e finiture; è un contesto di vita: convivialità e privacy, luce e acustica, abitudini di lavoro ibrido, relazioni con l’outdoor, estetica coerente con la funzione. Nel lusso, ma sempre di più anche nel segmento alto di gamma, la decisione d’acquisto avviene su un terreno dove ragione ed emozione si incontrano.

Ilaria Insardi richiama un dettaglio che parla al grande pubblico: la cucina. Nelle case contemporanee spesso si fonde nel living, nelle dimore storiche resta un ambiente autonomo, “narrativo”, che racconta tradizioni e riti familiari. Capire quale delle due “grammatiche” stia cercando il cliente significa orientare selezioni e allestimenti, suggerire micro-interventi, evitare visite inutili e ridurre attriti. Il lifestyle è bussola di ascolto e di proposta: senza, l’agente rischia di essere un “accompagnatore” di appuntamenti; con, diventa un curatore di scelte.

Lo storytelling responsabile: la casa come biografia, non come slogan

“Si vende soprattutto sull’emozione”, riconosce Ilaria Insardi, ma l’emozione funziona se è ancorata a una narrazione vera e verificabile. Lo storytelling responsabile è questo: documentare la storia dell’immobile, spiegarne i tratti distintivi, collegare i dettagli architettonici all’uso contemporaneo, valorizzare ciò che è unico e dichiarare ciò che necessita di adeguamento. Chi entra in una casa entra nei ricordi e nei sacrifici di una famiglia: empatia e rispetto diventano parte integrante della proposta commerciale.

In Italia, dove la stratificazione dei luoghi è un capitale inestimabile, la narrazione può (e deve) farsi anche culturale, senza cadere nella retorica: raccontare una volta originale, una soglia in pietra, una vista filtrata da alberature storiche non è un vezzo estetico; è spiegare perché quelle caratteristiche incidono su vivibilità, valore, desiderabilità a medio periodo. Il consulente sa distinguere tra ciò che emoziona e ciò che regge al due diligence: non confonde la poesia con l’omissione.

Tecnologia e IA: ridurre la burocrazia, aumentare il tempo di relazione

Nel dibattito spesso polarizzato tra “tech sì” e “tech no”, l’approccio raccontato da Ilaria Insardi è pragmatico. L’intelligenza artificiale e gli strumenti digitali non sostituiscono l’agente-consulente; gli restituiscono tempo, se usati con criterio. Digitalizzazione documentale, reperimento più rapido di visure e atti, gestione ordinata dei repository, pre-screening di coerenze catastali e urbanistiche: tutto serve a comprimere i tempi morti del processo e ad aumentare le ore “nobili” da dedicare all’ascolto, alla negoziazione, alla costruzione di fiducia.

Velocizzare non significa “saltare passaggi”. La tentazione di delegare all’algoritmo la profondità della verifica è un rischio. Il consulente usa la tecnologia come infrastruttura di servizio, non come scorciatoia. In un mercato esigente, e spesso mediaticamente rumoroso, la differenza la fa la disciplina con cui si mappano documenti, vincoli, conformità; la chiarezza con cui si spiegano i limiti; la trasparenza con cui si gestiscono le sorprese.

Social e mode: aprire conversazioni, non sostituirle

La conversazione in studio sfiora anche il ciclo delle mode digitali: dalla “prima TikTok” ai format che invecchiano in fretta. È un promemoria utile: i social generano opportunità, ma non possono esaurire la relazione. Video e clip aprono porte, allargano la platea, fanno branding; ciò che trasforma l’interesse in valore è la sostanza della consulenza — la capacità di gestire obiezioni, negoziare tempi e condizioni, tenere insieme emotività e realtà. Misura è la parola chiave: usare i canali per iniziare una storia, non per sostituire l’incontro.

“Siamo l’Italia”: quando l’heritage diventa posizionamento

Nel cuore dell’intervista, l’omaggio in diretta alla campagna “Siamo l’Italia” di Coldwell Banker Italy. Non un semplice spot, ma una direzione di marcia: mettere al centro l’italianità come fattore competitivo, preservando la matrice internazionale della rete. Dal trullo alla città d’arte, dai laghi alle colline, la narrazione visuale intreccia luoghi, sapori, suoni, arti, l’idea di qualità della vita che il mondo associa al nostro Paese.

È, di fatto, un co-branding: da una parte, il prestigio di un marchio globale che fa mediazione da sempre; dall’altra, il “brand Paese” Italia, che Coldwell Banker assume come parte della propria proposta. Il risultato è duplice. In Italia, la rete rafforza la prossimità ai territori, valorizzando unicità locali e filiere professionali, e sollecita gli standard del settore. All’estero, parla a una domanda che cerca proprio quell’insieme di autenticità ed estetica, di artigianalità e comfort, di paesaggio e cultura. Non stupisce che la campagna sia stata premiata nell’ecosistema di Casa Radio: quando creatività, identità e coerenza etica si tengono, la comunicazione non è cornice, ma contenuto.

Ilaria Insardi racconta infine, le emozioni provate nel rappresentare Coldwell Banker Italy per ritirare il premio,  nella cerimonia di premiazione per la migliore “Campagna pubblicitaria 2025”, in occasine dei Tell Inhabit Awards 2025 duranta il terzo summit “Comunicare l’Abitare” tenutosi a Roma il 13 ottobre 2025.

Internazionale per vocazione, locale per relazione

Una domanda ricorrente tra i clienti italiani (“se è americano, parlerà agli americani?”) trova risposta in due piani. Primo: l’internazionalità è un asset di mercato. Apre canali, velocizza referenze, abilita collaborazioni tra colleghi oltreconfine, moltiplica l’esposizione dell’offerta. Secondo: la relazione resta locale. La consulenza si misura nella capacità di spiegare sfumature regolatorie, micro-dinamiche di quartiere, tradizioni condominiali, prassi notarili, tempi della PA: tutto ciò che per un buyer internazionale è spesso opaco e per il buyer italiano è decisivo.

La forza del modello sta nella combinazione: standard condivisi, lingua globale, ma radici profonde dentro comunità e professioni. È qui che la promessa “Siamo l’Italia” evita l’effetto cartolina e diventa operativa: raccontare i luoghi significa anche prendersene cura nel modo in cui li si porta sul mercato.

Tutela e reputazione: ciò che il cliente oggi pretende

“Il cliente cerca tutela”, osserva lo studio, e Insardi concorda. L’epoca del “cugino che vende le case” cede il passo a una domanda di metodo e responsabilità. I grandi franchising intercettano questa esigenza offrendo processi, marchio, accountability. Ma la reputazione non è un logo: è la somma di promesse mantenute, preventivi rispettati, verifiche fatte bene, sorprese gestite con onestà.

Per questo la rete lavora a sinergie stabili con professionisti complementari (ingegneri, architetti, periti estimatori, avvocati, fiscalisti, notai). Il cliente percepisce la differenza quando un dubbio viene anticipato, una conformità è pronta prima ancora che la chieda, una clausola è spiegata senza gergo. La tutela non è un foglio da firmare; è un’esperienza misurabile in serenità di percorso

Talvolta è un dettaglio a rivelare la statura consulenziale di un agente. Discutere di cucina, come ambiente narrativo, non come arredamento, significa mettere mano al cuore dell’abitare: dove si mangia, dove si conversa, dove si cresce. Nelle nuove costruzioni l’open space è il dogma; nelle case storiche la separazione è cifra identitaria. Il consulente aiuta a capire se quell’assetto è compatibile con abitudini e aspirazioni del cliente; suggerisce interventi leggeri (porte scorrevoli, filtraggi acustici, isole attrezzate) o disegna scenari più profondi di ristrutturazione. Non è “vendere un sogno”; è tradurre desideri in scelte praticabili.

La disciplina dei documenti: velocità sì, scorciatoie no

Nessuna strategia di racconto regge senza una spina dorsale documentale. La “noia” della conformità è, in verità, ciò che evita contenziosi e frustrazioni. Qui l’agente-consulente si distingue per disciplina: check-list di atti, coerenze tra planimetrie e stato di fatto, sanatorie possibili, adempimenti condominiali, verifiche su impianti, tempi realistici dei rilasci. La tecnologia aiuta, ma non sostituisce il giudizio. È questo rigore che permette di promettere tempi credibili e di difendere, in trattativa, il valore richiesto.

Viviamo in un ecosistema in cui la visibilità è alla portata di tutti; l’autorevolezza no. La prima si compra, la seconda si costruisce. L’agente-consulente investe in reputation capital con la coerenza del lavoro quotidiano, ma anche con una comunicazione che rifiuta il sensazionalismo. Il racconto dell’“italianità” funziona se è prova di sostanza: selezione accurata degli immobili, fotografie e video che rispettano i luoghi, testi che informano, non promettono miracoli. La reputazione si consolida quando ciò che si vede online coincide con ciò che si trova offline.

Dalla convention al mercato: la strategia che diventa cultura aziendale

La testimonianza di Insardi restituisce l’idea di una strategia che è anche cultura aziendale. “Siamo l’Italia” non è un hashtag che vive il giorno della convention e poi si spegne: orienta training, materiali, rituali interni, persino la postura con cui si tengono le visite. L’italianità non è folklore; è cura del dettaglio, responsabilità verso i luoghi, rispetto delle persone, gusto per l’essenziale ben fatto. È un lessico che parla all’estero e, paradossalmente, ricorda agli addetti ai lavori italiani che la bellezza non basta: servono metodo e visione.

Se dovessimo distillare l’intervista in una formula operativa, potremmo parlare di tre “R” e una “T”. Relazione: ascolto, empatia, presenza; il luogo in cui si costruisce fiducia. Reputazione: processi, trasparenza, responsabilità; la somma delle promesse mantenute. Racconto: storia e progetto dell’immobile, dallo storytelling ai documenti; il ponte tra desiderio e realtà. Tecnologia: infrastruttura che libera tempo e migliora il servizio, senza sostituire l’umano.

In questo quadro l’agente immobiliare non “accompagna” semplicemente un acquisto: consiglia, tutela, orchestra. Nel pregio, dove ogni dettaglio pesa, l’agente-consulente è il professionista che sa dire “no” quando la promessa non è sostenibile, che sa rallentare per verificare, che sa accelerare quando le condizioni sono pronte. E che sa, soprattutto, far dialogare il prestigio internazionale con l’identità italiana, trasformando una campagna come “Siamo l’Italia” da claim emozionale a responsabilità quotidiana: rappresentare il Paese attraverso il modo in cui si selezionano, si curano e si raccontano i luoghi del vivere.

Perché nessuna IA stringerà la mano alla fine di una trattativa sentita; nessun social leggerà il silenzio che decide una visita; nessun algoritmo capirà perché quella cucina, proprio quella, è il posto dove una famiglia si immagina tra dieci anni. L’agente-consulente sì. Ed è lì — tra competenza, misura e visione — che la professione trova oggi il suo nuovo baricentro.

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BRICKS AND MUSIC
Puntata del 27/10/25
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