Cacciari smonta la narrazione bellica: “Nessun attacco all’Occidente, per la pace serve ragionare”

Il professor Massimo Cacciari, tra i più autorevoli filosofi e intellettuali italiani, è intervenuto nella trasmissione Buongiorno Italia  di Casa Radio, ospite del direttore Giovanni Lacagnina, per offrire una lettura articolata e critica del conflitto tra Russia e Ucraina, soffermandosi in particolare sulla concreta possibilità di una tregua e sul ruolo delle grandi potenze internazionali nello scenario attuale.

L’intervento di Cacciari si è inserito in un momento geopolitico particolarmente delicato, segnato da nuovi tentativi diplomatici e da una rinnovata attività negoziale. Secondo il filosofo, dopo due giorni di intensi colloqui a Berlino, si è verificato un riallineamento significativo tra Stati Uniti e Ucraina, elemento che rende oggi la prospettiva di una tregua non solo possibile, ma addirittura più concreta rispetto al passato. Come ha affermato Cacciari, la chance di arrivare a un cessate il fuoco è “reale” e, anzi, “non è mai stata così grande come adesso”.

Si tratta di un passaggio rilevante, perché arriva dopo mesi di escalation militare, di irrigidimento delle posizioni e di un clima internazionale dominato da una retorica bellica che ha spesso soffocato ogni spazio di mediazione. Cacciari ha sottolineato come la tregua, anche se temporanea, rappresenterebbe un passaggio fondamentale non solo sul piano militare, ma soprattutto su quello politico e umanitario, consentendo di fermare le ostilità e ridurre le sofferenze della popolazione civile, principale vittima del conflitto.

In questo quadro, il filosofo ha espresso la speranza che si possa giungere almeno a un cessate il fuoco, auspicando un’intesa tra Donald Trump e Vladimir Putin sui territori contesi. Il riferimento è in particolare al Donbass e alle aree limitrofe, territori da anni al centro del conflitto e caratterizzati da una maggioranza russofona. Secondo Cacciari, proprio la natura storica, linguistica e culturale di queste regioni rende inevitabile una soluzione politica che tenga conto della loro specificità.

Un accordo su questi territori potrebbe costituire il primo passo concreto verso una tregua e, successivamente, aprire la strada a una trattativa definitiva di pace, fondata non sulla forza delle armi ma su un compromesso realistico. Per Cacciari, continuare a ignorare la questione dei territori russofoni significa alimentare una guerra senza sbocchi, destinata a protrarsi indefinitamente.

Nel corso dell’intervista, Cacciari ha poi ampliato l’analisi al ruolo dell’Occidente, affermando che NATO ed Europa sono di fatto coinvolte in una guerra indiretta con la Russia. Non si tratta, ha precisato, di una guerra combattuta sul campo in modo diretto, ma di un conflitto che si manifesta attraverso dichiarazioni politiche, sanzioni economiche, invio di armi, addestramento militare e una continua escalation verbale. Una “guerra di posizione” che, pur non essendo formalmente dichiarata, contribuisce ad alimentare tensioni e instabilità.

Tuttavia, Cacciari ha escluso con decisione la possibilità di una guerra aperta tra Europa e Russia. A suo avviso, l’Europa non dichiarerebbe mai guerra a Mosca senza il pieno sostegno degli Stati Uniti, e Washington non ha alcuna intenzione di entrare in un conflitto diretto con la Russia. Gli Stati Uniti, infatti, non considerano più Mosca un pericolo strategico primario: le loro principali preoccupazioni geopolitiche si collocano oggi in altre aree del mondo, ritenute molto più decisive sul piano economico, tecnologico e militare.

La Russia, ha spiegato Cacciari, resta certamente una potenza nucleare, con un arsenale capace di radere al suolo l’Europa, ma non rappresenta una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti. Questa asimmetria strategica spiega, secondo il filosofo, perché Washington cerchi di evitare uno scontro diretto, pur mantenendo una linea di pressione politica e militare indiretta.

Durante l’intervento, Cacciari ha anche commentato le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che aveva parlato di un attacco all’Occidente. Il filosofo ha definito questa lettura una “stupidaggine”, sostenendo che non esiste alcun attacco all’Occidente in quanto tale. A suo giudizio, interpretare il conflitto in questi termini significa deformarne la natura e alimentare una narrazione ideologica che rende più difficile qualsiasi soluzione diplomatica.

Secondo Cacciari, la guerra va invece letta come una contesa circoscritta tra Russia e Ucraina, con un coinvolgimento della NATO legato a specifiche questioni strategiche. Le cause principali del conflitto, ha ribadito, sono essenzialmente due. La prima riguarda la prospettiva dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO, che avrebbe comportato il rischio di installazioni militari e nucleari a poche centinaia di chilometri da Mosca, una situazione percepita dalla Russia come una minaccia diretta e inaccettabile. La seconda causa è rappresentata dalla questione dei territori russofoni contesi, mai risolta politicamente e lasciata degenerare nel tempo.

Cacciari ha inoltre sottolineato come gli Stati Uniti abbiano ormai compreso che la Russia non è più un pericolo sistemico globale. Dal punto di vista della struttura politica ed economica, Mosca appare un Paese fragile, con limiti evidenti che ne riducono la capacità di competere a lungo termine con le grandi potenze mondiali.

In conclusione, il filosofo ha lanciato un appello alla ragione e alla responsabilità politica. La sua speranza è che il conflitto possa fermarsi almeno con una tregua, primo passo indispensabile per costruire un percorso di pace. Solo ragionando, ha sottolineato Cacciari, si può arrivare a veri trattati di pace; se si continua a rinunciare al pensiero critico e al dialogo, ogni soluzione diventa impossibile.

L’odio tra Russia e Ucraina è oggi profondamente radicato, così come accade in altri conflitti storici e irrisolti, come quello tra israeliani e palestinesi. Proprio per questo, ha concluso Cacciari, è fondamentale evitare un’ulteriore escalation e scongiurare il rischio di una vera guerra mondiale, auspicando che, se il conflitto dovesse continuare, lo faccia almeno a bassa intensità, lasciando aperto uno spazio alla diplomazia e alla politica.

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