In apertura della puntata di *Essere e Abitare* dedicata a boschi e foreste, il quadro è chiaro: in Italia la superficie forestale è in espansione, complici decenni di abbandono dei terreni montani e collinari. Dove l’uomo arretra, il bosco avanza. Ma l’aumento spontaneo della copertura forestale non coincide necessariamente con una gestione pianificata. Nel frattempo crescono i bisogni della società: edilizia e bioedilizia chiedono più legno, il design e l’arredamento lo trasformano in oggetti di uso quotidiano, l’energia e le nuove economie circolari lo considerano una risorsa chiave nelle strategie di decarbonizzazione.
In questo scenario, il legno torna al centro di un sistema di vita che riguarda il modo in cui abitiamo, produciamo, consumiamo e perfino pensiamo. Ma può esserci sostenibilità senza legalità? E che cosa significa davvero “gestire” una foresta, se allo stesso tempo la vogliamo tutelare? Domande che attraversano la conversazione con Antonio Brunori, dottore forestale, giornalista pubblicista e segretario generale di PEFC Italia, ospite di Andrea Dell’Orto ai microfoni di *Essere e Abitare*.
Brunori ricorda subito che senza mondo vegetale non ci sarebbe vita come la conosciamo. Le foreste sono un pilastro ecologico evidente: assorbono anidride carbonica, rilasciano ossigeno, mitigano il cambiamento climatico, custodiscono biodiversità, proteggono il suolo, regolano l’acqua. Ma limitarle a questo sarebbe riduttivo. La foresta è anche pilastro economico, culturale e perfino identitario. Il legno è una delle poche materie prime davvero rinnovabili, può accompagnare la transizione ecologica e, se usato responsabilmente e certificato, diventa alleato dell’edilizia a basse emissioni, degli edifici multipiano in legno, delle città che puntano alla neutralità climatica. Allo stesso tempo sostiene mestieri, tradizioni, design, strumenti musicali, editoria: un intero universo materiale e simbolico.
Proprio qui si innesta una critica importante: negli ultimi anni la comunicazione sulla sostenibilità ha scelto quasi ossessivamente di parlare solo di CO₂. È una scorciatoia comprensibile – la CO₂ si misura e si monetizza, esiste un mercato dei crediti di carbonio – ma è anche una semplificazione pericolosa. Brunori richiama l’evoluzione in corso nell’Unione Europea: dal focus sui carbon credits si sta passando al concetto più ampio di natural credits, che include biodiversità, stabilità del suolo, servizi ecosistemici, paesaggio, turismo, cultura. Non basta dire che il legno “immagazzina carbonio”: bisogna interrogarsi su come quella materia prima è stata ottenuta, che valore lascia al territorio, che tipo di economia alimenta.
Da qui il passaggio alla bioeconomia circolare del bosco. Brunori la definisce come un modello economico che parte dall’uso di risorse biologiche rinnovabili – legno in primis, ma anche biomasse a scopo energetico e servizi ecosistemici – per generare beni e servizi ad alto valore aggiunto. Al centro c’è la gestione forestale sostenibile: il bosco non è una miniera da sfruttare, ma un capitale naturale da valorizzare entro limiti ecologici, sociali e culturali. La circolarità diventa condizione necessaria: ogni risorsa deve essere utilizzata in modo efficiente, riusata, riciclata, rinnovata, con il minor spreco possibile. In questa prospettiva la bioeconomia “nasce dal bosco, lo rigenera e crea valore senza comprometterlo”: non estrazione, ma rigenerazione.
Un altro passaggio chiave riguarda il linguaggio delle filiere. Si parla spesso di “filiera corta”, ma Brunori invita a prestare più attenzione alla “filiera di prossimità”. La filiera corta riguarda il numero di passaggi; una catena di produzione con pochi intermediari può comunque attraversare mezzo mondo. La filiera di prossimità, invece, è quella in cui bosco, imprese boschive, segherie, produttori di pannelli, aziende che assemblano e imprese che costruiscono operano nello stesso territorio, mantenendo valore, competenze e ricadute economiche nelle comunità locali. È un concetto che si avvicina a quello di biodistretti, portando dentro anche una dimensione etica: conoscere gli attori, condividere responsabilità, rafforzare i legami tra foresta e società.
Il tema della legalità entra in scena con forza quando si parla di commercio illegale di legno. A livello globale, il taglio illegale delle foreste rappresenta una delle principali fonti di profitto della criminalità organizzata, seconda solo al traffico di droga, con un giro d’affari stimato nell’ordine delle decine di miliardi di dollari l’anno. Il paradosso è che, in molti casi, quel legname è formalmente “legale” perché autorizzato da governi o ministeri corrotti. È la dimostrazione che legalità formale e sostenibilità non coincidono: “essere legale” non basta, mentre un percorso realmente sostenibile ha come precondizione una legalità sostanziale, che includa il rispetto dei diritti delle comunità locali, della proprietà, della fiscalità, delle norme ambientali.
In questo contesto nascono gli schemi di certificazione forestale come PEFC e FSC, strumenti di mercato che provano a premiare i proprietari e le aziende che gestiscono le foreste in maniera corretta, con piani di gestione trasparenti, tracciabilità della materia prima, verifiche indipendenti, tutela dei diritti sociali e del capitale naturale. La certificazione non si limita a garantire la legalità: è “un qualcosa in più” che permette di distinguere chi lavora in modo pulito da chi, grazie al legname illegale e a basso costo, alimenta dumping economico e finanzia altre forme di criminalità.
Un altro equivoco diffuso riguarda l’idea che il bosco non vada toccato. Si sente dire che “il bosco va coltivato”, ma Brunori preferisce parlare di “gestione” anziché di “coltivazione”. Coltivare rimanda a monoculture e input chimici tipici dell’agricoltura intensiva, mentre gestire significa assumersi la responsabilità di un bene comune, con piani di lungo periodo, obiettivi di conservazione e di utilizzo, equilibrio tra richieste della società e limiti dell’ecosistema. La scelta delle specie non è neutra: cambia in base al contesto, ai suoli, al clima, agli usi finali. E non esiste solo il legname “perfetto”: le tecnologie – dai pannelli X-lam agli OSB, fino alle soluzioni micro-lamellari – permettono di valorizzare anche legno apparentemente di qualità inferiore, trasformando un materiale in prodotto attraverso ingegneria, progettazione e design.
Da qui il concetto di uso “a cascata” del legno, oggi esplicitamente promosso anche dalle politiche europee. L’idea è chiara: alla materia prima conferita si devono garantire quante più vite possibili, partendo dagli impieghi a più alto valore tecnologico ed economico – per esempio edilizia, arredo, prodotti durevoli – per passare progressivamente a usi di minor pregio, arrivando solo alla fine al recupero energetico. Bruciare subito un tronco significa sprecare il suo potenziale. Dare priorità alla cascata, invece, consente alle foreste di crescere seguendo i propri turni naturali, riduce la pressione sull’incremento annuo e richiede investimenti industriali nei territori, con imprese capaci di lavorare e rigenerare la risorsa legno.
Come spesso accade quando si parla di sostenibilità, emerge il tema dei costi nascosti. Brunori richiama, per analogia, studi sul settore tessile che mostrano come ogni prodotto dovrebbe costare sensibilmente di più solo per coprire i danni ambientali prodotti lungo la filiera. Nello stesso modo, i materiali naturali sembrano più cari dei sintetici solo perché questi ultimi non incorporano nel prezzo tutti i costi ambientali e sociali che scaricano su ecosistemi e popolazioni. La differenza viene pagata dal pianeta o da comunità vulnerabili, non da chi acquista. È un debito che spostiamo sulle generazioni future: un comportamento, sottolinea Brunori, profondamente immorale.
Lo sguardo si sposta infine al futuro, con l’orizzonte simbolico del 2050. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite e della FAO, una quota crescente dell’approvvigionamento di legno proverrà da piantagioni specializzate in aree tropicali, dove specie come eucalipto e pinus radiata crescono rapidamente e possono essere dedicate alla produzione di cellulosa o di legname tecnico. Le foreste naturali avranno sempre più una vocazione di scrigni di biodiversità, serbatoi di carbonio, generatori di acqua pulita. Parallelamente, in un mondo in cui oltre l’80% degli italiani e più della metà della popolazione globale vive in aree urbane, le foreste diventeranno sempre più luoghi di salute, rigenerazione psicologica, spiritualità, turismo lento. Non solo serbatoi di materia, ma alleate da custodire e con cui ricucire un rapporto interrotto dall’urbanizzazione.
La puntata si chiude tornando alle immagini che hanno accompagnato molti di noi fin da bambini: boschi delle fiabe, foreste delle filastrocche, luoghi sospesi tra paura e meraviglia. Dopo decenni in cui l’artificiale ha sostituito il naturale nelle nostre vite quotidiane, è proprio tra gli alberi che oggi torniamo a cercare benessere e senso del limite. Il messaggio di Antonio Brunori, raccolto da *Essere e Abitare*, è insieme tecnico e profondamente umano: i materiali naturali, a partire dal legno, non sono soltanto strumenti per costruire case a basse emissioni, ma parte di un patto di responsabilità tra società e foreste. Un patto che passa per legalità, gestione attiva, filiere di prossimità, scelte di consumo più consapevoli e una nuova idea di valore, capace di tenere dentro anche ciò che finora abbiamo preferito non vedere.
Foto di Jeff Klugiewicz da Pixabay
Chi è Antonio Brunori
Antonio Brunori è dottore forestale e giornalista pubblicista. È segretario generale di PEFC Italia, l’ente che promuove la certificazione della gestione forestale sostenibile e della catena di custodia per legno e carta, ruolo che ricopre dal 2001. Si è laureato in Scienze Forestali all’Università di Firenze, ha conseguito un Master of Science in Agroforestry presso la University of Florida (USA) e un dottorato di ricerca in Arboricoltura all’Università di Perugia. È direttore responsabile della testata “Eco delle Foreste” dell’Associazione PEFC Italia, attraverso cui contribuisce alla divulgazione su gestione forestale sostenibile, filiere di prossimità, servizi ecosistemici e bioeconomia. Ha partecipato a numerosi progetti internazionali dedicati ai temi della legalità nel settore forestale, alla certificazione, alla valorizzazione dei prodotti e dei servizi ecosistemici del bosco, in Italia e all’estero.
Link utili
Pefc Italia: https://www.pefc.it/
Antonio Brunori su Linkedin: https://www.linkedin.com/in/antoniobrunori/









