Videosorveglianza in condominio, il confine sottile tra sicurezza e violazione della privacy

Telecamere sul pianerottolo, sistemi smart in cloud, videocitofoni che registrano da remoto: la corsa alla sicurezza nei condomìni italiani non può ignorare le regole sulla tutela dei dati personali. Dalla telecamera privata puntata sulla porta di casa agli impianti condominiali sulle parti comuni, cambia il regime di autorizzazioni e di responsabilità, con limiti rigorosi su cosa si può inquadrare, chi può accedere alle immagini e per quanto tempo possono essere conservate. Anche i moderni videocitofoni diventano veri e propri sistemi di videosorveglianza quando registrano o monitorano in continuo, facendo scattare tutti gli obblighi di legge: perché, in condominio, non è la telecamera in sé a fare la differenza, ma l’uso che se ne fa.

La videosorveglianza è uno strumento ampiamente diffuso nei Condominii italiani, scelto sia per ragioni di sicurezza che come deterrente contro furti e atti vandalici. L’installazione di questi sistemi non può tuttavia essere arbitraria, ma deve rigorosamente rispettare normative e regolamenti sulla privacy per essere considerata legittima.

La prima questione fondamentale è distinguere tra l’impianto installato dal singolo condomino a tutela della sua proprietà e quello installato dal Condominio a protezione delle parti comuni.

Se un condomino decide di installare una telecamera per proteggere il proprio appartamento non è richiesta alcuna autorizzazione condominiale. 

L’autonomia del singolo è, tuttavia, strettamente limitata; l’angolo di ripresa deve essere circoscritto alla proprietà esclusiva e deve evitare l’inquadramento di parti comuni (come scale o ascensori) o proprietà altrui (ad esempio, la porta del vicino).

Le pronunce giurisprudenziali sono conformi in questo senso: se la telecamera privata inquadra anche solo un pezzetto del pianerottolo comune è violazione della privacy.

Quando il sistema di videosorveglianza è installato dal Condominio per la protezione delle parti comuni è necessaria la preventiva approvazione dell’assemblea condominiale e scattano una serie di obblighi rigorosi in materia di trattamento dei dati.

È fondamentale l’affissione di appositi cartelli informativi in luoghi ben visibili e leggibili.

I filmati vanno conservati solo per il tempo strettamente necessario (in genere 24 o 48 ore).

L’accesso alle registrazioni deve essere limitato esclusivamente alle persone autorizzate e, in caso di sistemi smart o cloud, ogni accesso da remoto deve essere tracciato e gestito tramite un protocollo di sicurezza digitale. Nessun condomino può scaricare liberamente le immagini tramite app.

La visione dei filmati da parte di un condomino è ammessa se esiste una denuncia alle autorità competenti e se ci sono validi motivi, il tutto sotto la supervisione dell’amministratore o del responsabile della protezione dei dati.

Un grande equivoco riguarda i moderni videocitofoni dotati di telecamera. La risposta è che non sono necessariamente considerati sistemi di videosorveglianza.

Un videocitofono tradizionale serve unicamente a vedere chi suona al portone e si attiva solo alla pressione del campanello, senza registrare o conservare immagini in modo continuativo.

Il sistema diventa “videosorveglianza” solo se permette di registrare le immagini o di vedere da remoto tramite app chi entra ed esce, in quanto la sua funzione si trasforma da strumento di comunicazione diretta a sistema di monitoraggio continuativo.

In questo caso, scattano tutti gli obblighi di privacy e delibera condominiale. In definitiva, non è la telecamera a fare la differenza, ma cosa fa quella telecamera.

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DIRITTO DI ABITARE
Puntata del 19/11/25
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