(Adnkronos) – Roma 4 dicembre 2024 – 'Dobbiamo fare tutto quello che serve per fare in modo che i giovani italiani emigrati possano tornare ed operare nel loro Paese di origine, per dare il loro contributo allo sviluppo economico e sociale della patria. L’Italia ha bisogno di loro e l’esperienza che hanno acquisito all’estero è preziosa anche per aiutarci a migliorare nella cultura del lavoro e di impresa’. Sono le parole di Fabio Storchi, presidente del Gruppo Emiliano-Romagnolo dei Cavalieri del Lavoro, all’indomani di una visita al centro di formazione Elis, di Roma. Elis è un ente di formazione no profit che, in collaborazione con 40 tra le più importanti aziende a livello nazionale e internazionale riunite in un consorzio (il Consorzio Elis), organizza corsi e master con l'obiettivo di inserire in azienda i migliori talenti. Dal 1964, data della sua nascita, obiettivo di Elis è favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro promuovendo l'integrazione tra scuole, università e imprese, con percorsi formativi che danno agli studenti le competenze tecniche e professionali realmente richieste dalle aziende. ‘Sono rimasto impressionato dalle capacità dei giovani che si formano ad Elis, ben sviluppate dalla scuola. Sono proprio i giovani che devono adoperarsi per rimanere nel nostro Paese e creare il suo sviluppo futuro’ ha sottolineato Storchi. ‘Stipendi più alti per i giovani che entrano nel mondo del lavoro, possibilità di carriera professionale, dedicarsi alla ricerca e un contesto lavorativo accogliente, capace di promuovere le potenzialità di ciascuno, in grado di dare prospettive di crescita e di far conciliare i tempi di vita e lavoro’. Fabio Storchi, che è anche un affermato imprenditore, declina così le azioni strutturali che dovrebbero essere attivate con una forte sinergia pubblico-privato per trattenere i giovani italiani in patria. Una presa di posizione sollecitata, tra l’altro, dal recente rapporto «La nuova emigrazione italiana: cifre, ragioni ed effetti» realizzata dalla Fondazione Nordest e presentata di recente dal suo direttore scientifico, Luca Paolazzi, al Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro). Il quadro che emerge dalla ricerca è impietoso: dal 2011 al 2023 sono emigrati 550mila giovani, tra i 18 e i 34 anni, con un saldo migratorio che risulta negativo per -377mila unità. Il deflusso è ripreso con energia dopo la pandemia, tornando ai livelli pre Covid, con un saldo tra iscritti e cancellati di -34mila unità l’anno. Nel 2011, il divario era di 11mila persone. Con il 2013 il gap ha fatto un balzo fino a -25mila unità, per arrivare a registrare un picco di -37.663 soggetti nel 2016, un dato che si è mantenuto pressoché costante fino al 2020. ‘Per la dimensione quantitativa la nuova emigrazione è analoga a quelle del passato – ha spiegato Paolazzi – ma è diversa la qualità dell’emigrazione italiana: se ne vanno persone molto istruite e le partenze sono dalle regioni più ricche, in un contesto demografico senza precedenti’. La natalità, infatti, è ai minimi storici dall’Unità d’Italia e, evidenzia il rapporto della Fondazione Nordest, dal ricco Nord Italia emigrano 5 giovani su 10, dal Mezzogiorno tre. Anche in rapporto alla popolazione svetta il Nord. Nel 2022 il 43,1% degli emigranti tra i 18 e i 34 anni aveva almeno la laurea triennale. Nel 2011 tale percentuale era del 17,4 per cento. Per nove italiani che se ne vanno, si registra l’arrivo di uno straniero. Tra le destinazioni preferite dei giovani emerge la Svizzera, al primo posto, seguita da Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca. Nella classifica mancano Francia, Germania e Regno Unito perché non forniscono i dati a Eurostat, altrimenti ‘l’Italia figurerebbe molto più indietro anche rispetto a loro’, sentenzia la Fondazione. Il rapporto ha analizzato i motivi che spingono all’espatrio e dalle risposte dei giovani possono derivare azioni volte a frenare, se non a invertire il trend. Al primo posto pongono la buona reputazione dell’impresa, poi l’apertura internazionale dell’azienda, il team di lavoro, l’attenzione alle diversità e all’inclusione sociale e, al sesto posto, seppur staccato di pochissimo dalle precedenti motivazioni, la retribuzione. Seguono un’atmosfera aziendale piacevole, la competenza dei dirigenti, la sicurezza del posto di lavoro, il sentirsi ascoltato nelle proprie esigenze dai superiori e le prospettive chiare del percorso di carriera. E ancora, non vogliono tornare perché ‘non ci sono le stesse opportunità di lavoro; non c’è spazio per i giovani’ e, dove risiedono ‘la qualità di vita è migliore’. Francesca Schenetti giornalista professionista Ti Lancio, agenzia di stampa quotidiana 39 339 8093543 —immediapresswebinfo@adnkronos.com (Web Info)