Riparare, rallentare, ricominciare ad abitare: la casa vivente – intervista con Andrea Staid

L’antropologo e scrittore Andrea Staid invita a ripensare il nostro modo di vivere gli spazi e il pianeta: abitare non è possedere, ma prendersi cura. Nelle sue riflessioni — da La casa vivente a Dare forme al mondo — emerge l’urgenza di superare l’antropocentrismo e costruire città multispecie, inclusive e lente, dove la sostenibilità diventa una pratica quotidiana di relazione e consapevolezza.

«Abbiamo disimparato ad abitare», afferma Andrea Staid, antropologo e docente di antropologia culturale e visuale, ospite di Essere e Abitare. «Abbiamo ridotto la casa a un bene di consumo, un oggetto isolato dalla comunità e dal territorio. Abitare non è più un atto culturale e relazionale, ma una fruizione passiva di spazi standardizzati».

Da qui nasce l’alienazione che caratterizza il nostro tempo: la casa, da organismo vivente costruito nel tempo con materiali e saperi locali, è diventata una merce. E con essa si sono persi il senso di appartenenza e la capacità di relazione. «Recuperare una dimensione vivente della casa», spiega Staid, «è un gesto politico. Non partitico, ma politico nel senso profondo del termine: significa smettere di vedere la casa come un prodotto da possedere e riconoscerla come una totalità integrata, dove persone, luoghi e comunità si intrecciano».

In questa visione, riparare diventa un gesto simbolico e concreto insieme: un atto politico ed ecologico che si oppone alla logica dell’iperconsumo e dell’obsolescenza programmata. Riparare e autocostruire significa riappropriarsi dei saperi pratici e di una forma di autogoverno territoriale, ma anche restituire all’abitare il suo valore di diritto inalienabile e sociale.

Staid ricorda come l’ecologia non sia solo una questione di materiali o tecniche costruttive: «L’ecologia è sociale, riguarda il modo in cui colleghiamo la casa al territorio, alla mobilità, alle relazioni umane. Non si può pensare sostenibilità senza giustizia e senza comunità».

Nel suo libro Essere natura, Staid affronta la radice culturale della crisi ambientale: la separazione tra uomo e natura. «L’Occidente ha costruito un pensiero duale, che pone l’uomo al centro e la natura come altro da sé. Invece noi siamo natura». Racconta delle cosmologie indigene, come quella dei Cree del Nord America, dove ogni vivente è parte di una rete di soggetti interdipendenti: «Quando costruiscono una casa, pensano alla relazione con tutto ciò che li circonda».

Per Staid, anche le città possono tornare a essere ecosistemi viventi, ma serve un cambio di prospettiva. «Serve una riforestazione urbana, orti collettivi, spazi che restituiscano biodiversità e connessione. E soprattutto serve guardare gli alberi e gli animali non come oggetti, ma come abitanti delle nostre stesse comunità».

Il suo sguardo antropologico si estende alle trasformazioni urbane e alla turistificazione che svuotano i centri storici. «La gentrificazione e il turismo di massa negano il diritto di abitare. Trasformano gli spazi in merci e distruggono i legami comunitari. Bisogna regolare gli affitti brevi e investire nelle case popolari: il problema non è chi affitta una stanza, ma chi gestisce centinaia di appartamenti come business».

Nel suo ultimo libro, Dare forme al mondo. Per un design multinaturalista (UTET, Dialoghi di Pistoia), Staid spinge la riflessione oltre, verso un nuovo modo di progettare. «Progettare con la natura e non per la natura», spiega, «significa superare l’idea che solo l’uomo sia in grado di creare. La natura stessa progetta: gli animali, i boschi, le piante costruiscono architetture straordinarie. Dobbiamo imparare da loro, non dominarli».

Il suo design multinaturalista non è una moda come il biophilic design, ma un cambio di paradigma: dal dominio alla risonanza. Il progetto non è più soltanto estetico o tecnico, ma un atto etico e politico che riconosce la soggettività del vivente.

Parlando di città e mobilità, Staid invita a guardare alle realtà medie, quelle sotto i 500mila abitanti, come laboratori possibili di cambiamento: «Sono le città in cui si può ancora ripensare la mobilità, eliminare l’auto privata, ridare spazio al camminare e alla socialità».

La conversazione si chiude sul tema dell’educazione e della complessità. «Dobbiamo decostruire le certezze sull’abitare e riconoscerlo come relazione sconfinata che coinvolge il sociale, il politico, l’economico. La contraddizione più forte è l’ipocrisia del capitalismo verde: una società che continua a produrre e consumare, ma si proclama sostenibile».

Infine, guardando al futuro, Staid immagina la casa del 2050 non come un’utopia tecnologica, ma come un ritorno alla misura umana: «Una casa che rompe con il modello della crescita infinita, uno spazio di relazione multispecie, dove si torna a saper fare, non solo a saper comprare».

In questa puntata abbiamo preso spunti da

La casa Vivente https://www.lafeltrinelli.it/casa-vivente-riparare-spazi-imparare-libro-andrea-staid/e/9788867833115
Dare forma al mondo https://www.lafeltrinelli.it/dare-forme-al-mondo-per-libro-andrea-staid/e/9791221218497

Chi è Andrea Staid

Andrea Staid (Milano, 1982) è antropologo, scrittore e docente di Antropologia culturale e visuale alla NABA di Milano. Ha condotto numerose ricerche sul rapporto tra abitare, ecologia e culture tradizionali. Tra i suoi libri più noti: I dannati della metropoli, La casa vivente, Essere natura e Dare forme al mondo. Per un design multinaturalista (UTET, 2025). I suoi lavori intrecciano antropologia, ecologia e filosofia, proponendo una visione del vivere come pratica di relazione e responsabilità verso il pianeta.

Link al profilo linkedin: https://www.linkedin.com/in/andrea-staid-21ab1262/

Credits Foto di Miguel Á. Padriñán da Pixabay

Ascolta ora il Podcast:

ESSERE E ABITARE | Andrea Staid
Puntata del 11/12/25
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