Open Design a Formello, Covo riapre l’archivio e rilancia il pezzo unico il design che sfida il mass market con la gomma intrecciata di Rosanna Contadini

Nel capannone di via degli Olmetti, alle porte di Roma, Covo celebra trent’anni di storia inaugurando il proprio archivio di pezzi iconici e irripetibili e avvia una nuova stagione all’insegna di sostenibilità, purezza delle linee e materiali naturali. Accanto alle collezioni storiche, l’artigianato contemporaneo di Rosanna Contadini, che trasforma un filo di gomma industriale in borse, accessori e complementi d’arredo annodati a mano, diventa manifesto di un design accessibile ma radicalmente anti-omologato.

Nel silenzio solo apparente della zona industriale di Formello, alle porte di Roma, c’è un capannone che non assomiglia affatto a un semplice magazzino. È qui, in via degli Olmetti 3B, che sabato 29 novembre 2025 dalle 16 alle 21 andrà in scena “OPEN DESIGN: viaggio nell’universo creativo di COVO e Rosanna Contadini”, un evento su invito che somiglia più a un racconto che a un’esposizione tradizionale: cocktail, musica, luci soffuse e, soprattutto, oggetti.

Oggetti che hanno fatto la storia del design accessibile tra gli anni Novanta e Duemila e che oggi tornano alla luce insieme a nuove sperimentazioni artigianali in nome di una bellezza sostenibile, unica, irripetibile. Per Covo, azienda simbolo del design di complemento e dell’arredo contemporaneo, storica distributrice di grandi nomi e icona di stile in Italia e all’estero, è molto più di un semplice “porte aperte”: è la dichiarazione di una rinascita, il momento in cui un archivio gelosamente custodito viene finalmente svelato, trasformando uno spazio di lavoro in un viaggio nella memoria creativa degli ultimi trent’anni.

L’archivio Covo, una miniera di icone accessibili

Nel materiale che accompagna l’iniziativa si parla senza mezzi termini di “pezzi iconici, unici e irripetibili che hanno fatto la storia della creatività e del design accessibile”. Non è una formula ad effetto: chi frequenta il mondo del progetto sa che Covo, dagli anni Novanta ad oggi, è stata una delle realtà più vivaci nel portare nelle case un certo modo di intendere l’oggetto d’uso, fatto di linee pulite, ironia misurata, attenzione ai dettagli e prezzi non proibitivi.

Nata come distributrice di firme importanti, l’azienda ha progressivamente imposto una propria cifra estetica, guidata da un mantra preciso: sostenibilità, purezza delle linee, uso consapevole di materiali naturali. Una filosofia maturata ben prima che la parola “sostenibilità” diventasse uno slogan inflazionato, e che oggi torna al centro come esigenza concreta in un momento storico in cui la casa rischia di assomigliare sempre più a una vetrina di prodotti seriali.

Open Design è l’occasione scelta per riaprire l’archivio: una sorta di “camera delle meraviglie” in cui convivono le edizioni storiche prodotte da Covo, gli oggetti importati nelle stagioni in cui l’azienda lavorava fianco a fianco con artigiani giapponesi, i pezzi disegnati da nomi internazionali e realizzati in fabbriche italiane. Bicchieri in vetro d’autore, ceramiche, piccoli mobili, sedute, lampade, attaccapanni entrati nell’immaginario degli addetti ai lavori: tutto riemerge dagli scaffali, spesso in singoli esemplari o in quantità limitatissima, come un florilegio di forme capaci di interpretare un gusto sobrio, ironico e al tempo stesso caldo.

Non è un’operazione nostalgia, ma un gesto politico nel senso più ampio del termine: far vedere da vicino, toccare, acquistare pezzi nati per una produzione seriale limitata e oggi di fatto unici, in un mercato dominato da collezioni che cambiano a velocità vertiginosa, spesso senza lasciare traccia.

Rosanna Contadini, la gomma che diventa tessuto

Accanto a questo archivio di memorie industriali e artigianali, l’altra protagonista dell’evento è Rosanna Contadini, designer artigiana che ha scelto un materiale lontanissimo dall’immaginario “classico” della casa per costruire il proprio linguaggio: un filo di gomma industriale, lo stesso che si usa per guarnizioni di moto, frigoriferi, biciclette.

La sua storia inizia in un laboratorio di ceramiche, prosegue con una svolta personale – una separazione, la decisione di mettersi in proprio – e approda quasi per caso in un negozio di ferramenta, dove incontra quel filo che diventerà la base di tutto. Lo prova ai ferri, poi all’uncinetto, lo forza a diventare trama e tessitura. Nasce così la prima borsa: un oggetto che sembra familiare nella forma, perché il punto a maglia richiama il mondo domestico, ma sorprende al tatto e alla vista per la natura inaspettata del materiale.

Il debutto vero arriva al salone Maison&Objet di Parigi, dove le sue borse attirano l’attenzione di buyer e galleristi internazionali. Da lì il lavoro si allarga: oltre alle borse, ceste per la casa, tappeti, lampade, accessori e collane, tutti annodati o intrecciati a mano con lo stesso filo di gomma. Un catalogo che vive di un paradosso fertile: l’uso di una materia industriale piegata a una tecnica tradizionale, quella del lavoro a maglia, che restituisce oggetti fortemente tattili, morbidi, quasi “caldi” al contatto.

La collaborazione con Covo, oggi, diventa formale: l’eredità storica del marchio si fonde con la sperimentazione contemporanea e con una responsabilità ecologica che passa anche dalla scelta di un materiale non convenzionale, lavorato con tecniche lente e manuali.

Un viaggio guidato nel cuore del lavoro

L’evento è concepito come un “viaggio creativo” all’interno dello spazio industriale, con gli ospiti accompagnati da Rosanna Contadini e da Stefano Fragapane tra scaffali, isole espositive e angoli di archivio predisposti per l’occasione. Non un allestimento patinato costruito ad hoc, ma il cuore pulsante della creazione e della distribuzione che si apre al pubblico, mantenendo visibile la sua natura di luogo di lavoro.

La scelta del format non è casuale. Covo e Contadini vogliono tracciare una linea di demarcazione netta rispetto alla logica del mass market. L’evento viene presentato come una presa di posizione in controtendenza, un modo per offrire agli amanti del bello, dell’unico e del sostenibile l’opportunità di riscoprire pezzi di storia del design e, nello stesso tempo, assistere al lancio di un nuovo capitolo consapevole.

Le tre parole chiave sono tutte lì: bello, unico, sostenibile. Bellezza non come lusso ostentato, ma come armonia di proporzioni e materiali; unicità non come vezzo elitario, ma come rifiuto dell’omologazione; sostenibilità non ridotta all’etichetta “green”, bensì intesa come durabilità degli oggetti, cura nel riuso, attenzione alla provenienza delle materie prime.

Sostenibilità, una parola che torna a pesare

La narrazione attorno a Covo insiste su un concetto che merita di essere interrogato: l’azienda viene descritta come “da sempre guidata dal mantra della sostenibilità, della purezza delle linee e dall’uso consapevole di materiali naturali” e oggi “riafferma la sua identità in un momento storico che necessita un ritorno alla vera essenza del design”.

In pratica, questo significato si articola su due piani. Da un lato, la scelta di privilegiare materiali che non siano destinati a un rapido degrado: legni selezionati, metalli lavorati con cura, vetro e ceramica. Dall’altro, la capacità di reinterpretare l’idea stessa di sostenibilità attraverso l’uso intelligente di materiali ibridi, come la gomma scelta da Contadini.

La designer lo racconta come una forma di “riuso creativo” di una materia che già esiste e che viene sottratta al puro ambito industriale per essere trasformata in qualcosa che abita la quotidianità: borse che passano di mano in mano, ceste e contenitori che vivono sul pavimento di un soggiorno, su una mensola, in ingresso, nelle stanze dei ragazzi. Oggetti che non si consumano in una stagione, ma accompagnano le persone per anni, fino a diventare parte integrante della memoria domestica.

Anti-omologazione: quando tutto si assomiglia, la differenza fa notizia

Guardando il quadro d’insieme, quello che accade a Formello è anche una reazione a un fenomeno che chiunque, entrando in case diverse, ha imparato a riconoscere: l’impressione di aver già visto tutto, di muoversi in ambienti fotocopia, variabili solo per dimensione e budget.

Nel dialogo che precede l’evento, Contadini lo sottolinea con franchezza: nel segmento del lusso “alla fine giriamo attorno a quattro o cinque nomi”, mentre la fascia media è presidata dalle grandi catene globali. Il risultato è una “massificazione degli interni” che rischia di cancellare le sfumature personali, le piccole idiosincrasie, i legami affettivi che un oggetto può portare con sé.

L’apertura dell’archivio Covo e il racconto delle nuove collezioni di Rosanna Contadini si pongono come alternativa a questa omologazione. Non una negazione del ruolo che anche le grandi catene hanno avuto e hanno nel democratizzare l’accesso al design, ma un invito ad affiancare alle soluzioni da catalogo qualcosa che sfugga ai codici standard: un attaccapanni di autore, una serie di bicchieri fuori produzione, una cesta annodata a mano in filo di gomma, una lampada che non si ritrova identica in ogni casa.

Il valore del pezzo unico (a prezzi sostenibili)

Si potrebbe pensare che un racconto del genere abbia come corollario prezzi fuori portata. Il messaggio che arriva dal capannone di Formello, invece, va in direzione opposta. L’idea, ribadita tanto nel materiale di presentazione quanto nelle parole dei protagonisti, è quella di proporre una selezione di oggetti a prezzi sostenibili, non allineati alle cifre spesso astronomiche del design da collezione.

Si tratta pur sempre di pezzi di alto livello, molti dei quali unici o quasi, ma l’obiettivo dichiarato è di riportare il design in una dimensione quotidiana: permettere a chi ama gli oggetti ben fatti di regalarsi – o regalare – qualcosa che abbia una storia, che viene da un archivio, da una filiera corta, da un laboratorio. Non un investimento da cassaforte, ma un gesto di scelta consapevole: compro qualcosa che durerà, che avrà senso nella mia casa per anni, che non si esaurisce nel tempo di una moda.

In questo senso, la parola “accessibile” non indica solo il prezzo, ma il modo in cui l’oggetto entra nella vita delle persone. Non è un feticcio da vetrina, ma un compagno di uso quotidiano.

Un manifesto per il futuro del design domestico

Allargando lo sguardo oltre la singola giornata, Open Design viene presentato da Covo come un manifesto per il futuro. La lettura non è azzardata. In un settore che corre spesso dietro a lanci di prodotto sempre più frequenti, qui si sceglie di rallentare, di rimettere in circolo un archivio invece di nasconderlo, di lavorare sulla lunga durata invece che sulla cancellazione sistematica del passato.

C’è il recupero delle collezioni storiche, certo, ma c’è anche la volontà di innestare su quella base un lavoro nuovo: quello di Rosanna Contadini, con la sua gomma intrecciata e annodata a mano, rappresenta la prima tappa di una stagione che vuole coniugare eredità e sperimentazione, memoria e ricerca sui materiali, estetica e responsabilità ecologica.

In prospettiva, l’apertura al pubblico dello spazio di Formello – destinata a proseguire anche oltre la data del 29 novembre, su appuntamento, fino alle festività natalizie – potrebbe diventare un laboratorio permanente, un luogo di incontro tra progettisti, appassionati, collezionisti e semplici curiosi che desiderano uscire dall’anonimato del “già visto”.

La casa come racconto personale

Alla fine, sul fondo di questa operazione rimane una domanda che riguarda molti: come vogliamo abitare? Vogliamo case che siano la replica di uno showroom o spazi che raccontino chi siamo, dove siamo stati, che gusti abbiamo, quali storie ci portiamo dietro?

Aprendo il proprio archivio e affiancandolo al lavoro di una designer-artigiana che ha scelto un materiale spiazzante come la gomma per parlare di intimità domestica, Covo sembra suggerire una risposta precisa: la casa è, o può tornare a essere, un racconto personale. Un racconto fatto di oggetti che non nascono per piacere a tutti, ma per somigliare a qualcuno.

Tra le ceste di filo nero lavorato a maglia, le borse annodate, le ciotole giapponesi di trent’anni fa, gli attaccapanni in metallo di autore, i vetri firmati e le piccole sedute d’archivio, il capannone di Formello diventa per qualche settimana una sorta di catalogo vivente del possibile: il contrario del catalogo chiuso di un colosso globale. Qui ogni pezzo porta un’imperfezione, un segno, una storia.

Il resto lo farà lo sguardo di chi entra. C’è chi vedrà in quei pezzi una nostalgia, chi un’occasione per cambiare il ritmo della propria casa, chi semplicemente un oggetto bello che non aveva mai incontrato prima. In tutti i casi, Open Design segna una direzione chiara: in un mondo che tende a rendere tutto uguale, scegliere il pezzo unico è un atto di libertà. E, forse, una delle forme più concrete di sostenibilità.

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Puntata del 21/11/25
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