La casa torna al centro della manovra economica. Non tanto per un disegno organico, quanto per una somma di micro-interventi che rischiano di cambiare — ancora una volta — le regole del gioco per proprietari, inquilini e operatori. È l’allarme che arriva da Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, intervenuto a Casa Radio in una puntata interamente dedicata alla legge di bilancio e alle sue ricadute sull’abitare.
Sul tavolo ci sono tre dossier: bonus edilizi confermati solo per il 2025 (con l’ennesimo rinvio “a vista”), cedolare secca per gli affitti brevi che in bozza viene innalzata al 26% anche sul primo immobile, e un intervento normativo che svuota la recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sulla rinuncia abdicativa alla proprietà. Tutti temi che, messi in fila, delineano un’idea di fiscalità immobiliare “incerta e punitiva” per quella maggioranza silenziosa di piccoli proprietari che sostengono lo stock abitativo italiano.
Bonus edilizi: proroga di un anno, ma la programmazione resta l’anello debole
La prima domanda è sulle agevolazioni alla ristrutturazione. «Nella bozza — spiega Spaziani Testa — si conferma per un altro anno il regime 2025: 50% di detrazione per la prima casa e 36% per gli altri immobili. È meglio di niente, certo: altrimenti saremmo scesi rispettivamente al 36% e al 30%. Ma è una gestione anno per anno di misure che dovrebbero essere stabili, strutturate, con priorità chiare».
Il ragionamento va oltre la semplice proroga: «Se per l’abitazione principale il 50% ha una sua logica, il 36% per gli altri immobili è troppo basso, espone al rischio di nero per via di un’IVA al 22% che appesantisce i conti, e non incentiva davvero a intervenire. Da tempo chiediamo una rivisitazione complessiva del sistema, fissando obiettivi e premiando i lavori utili a rimettere in circolo il patrimonio inutilizzato, spesso gravato da IMU, costi e oneri locali, senza alcuna spinta al recupero».
In controluce c’è un punto politico: la casa come bene sociale e infrastruttura privata del Paese. Se la rotta non viene definita per più anni, famiglie e imprese non pianificano e il circuito si inceppa. «Gli italiani non chiedono regali — è il sottotesto — ma regole certe e orizzonti per programmare spese e investimenti».
Accessibilità e barriere architettoniche: il grande assente
Il secondo fronte riguarda la accessibilità. Paese anziano, domanda crescente di ascensori, rampe, adeguamenti condominiali, eppure gli incentivi dedicati risultano assenti o riassorbiti nel calderone della ristrutturazione. «Serviva — dice il presidente — una corsia speciale per l’abbattimento delle barriere: non solo per le persone con disabilità, ma per una popolazione con un’età media in aumento. Oggi le spese per interventi piccoli ma decisivi (pianerottoli, servoscala, adeguamenti degli accessi) finiscono schiacciate tra mille priorità. È un errore di impostazione».
È il nodo della domanda sociale: senza spinta selettiva, il bonus “generalista” non orienta davvero le trasformazioni e rimane poco incisivo proprio dove servirebbe di più, cioè nei condomìni più datati e nei quartieri popolari.
Affitti brevi: la stretta al 26% anche sul primo immobile è «sbagliata nel merito e negli effetti»
Il passaggio più spigoloso arriva con il capitolo affitti brevi. La bozza di manovra ipotizza l’innalzamento al 26% della cedolare secca anche per un solo immobile locato con questa formula (finora l’aliquota maggiorata era prevista solo dal secondo in poi). «Siamo rimasti sorpresi — dice Spaziani Testa — perché parliamo di un articolo circolato senza paternità politica chiara. Due vicepremier si sono già detti contrari. Allora o la norma si è scritta da sola, o è frutto di qualche esigenza di gettito ministeriale pronta a essere corretta in corsa».
Nel merito, la posizione è netta: «Se l’obiettivo fosse scoraggiare gli affitti brevi per spingere i lunghi, è una scelta sbagliata. Non otterrà gli effetti sperati e rischia di aumentare il nero e di alzare i prezzi: in economia, i costi si scaricano lungo la filiera, alla fine sul conduttore. La strada giusta è l’opposto: rafforzare gli affitti lunghi con incentivi fiscali e garanzie sull’adempimento dei canoni e sulla tutela dell’immobile».
C’è poi un aspetto spesso trascurato nel dibattito mediatico: la base imponibile. «Il 26% su cosa? — incalza l’intervistatore — Su ricavi lordi che incorporano condominio, utenze, commissioni di piattaforme, pulizie?». Una domanda che resta sospesa, ma che fotografa una criticità tecnica reale: tassare il lordo può tradursi, nella pratica, in un prelievo effettivo molto più pesante del numero in legge.
Spaziani Testa sottolinea un equivoco diffuso: «Il piccolo proprietario non è un “rentier” con decine di appartamenti. Spesso è una famiglia con una sola seconda casa, magari ereditata, che cerca un equilibrio tra costi, tassazione e rendita. Colpirla con un’aliquota “secca” senza distinguere, significa spingere fuori dal mercato legale chi vorrebbe restarci».
E sullo sfondo, una chiosa sulla narrazione pubblica: «Se un grande albergatore ha due pagine per spiegare il proprio punto di vista e proprietari e host hanno “due righe”, il frame è già scritto: il resto è conseguenza». Tradotto: servirebbe un dibattito meno ideologico e più attento all’equilibrio dell’ecosistema dell’ospitalità.
Rinuncia unilaterale alla proprietà: «Così si aggira la Cassazione. Norma inaccettabile»
Il terzo capitolo è il più tecnico, ma potenzialmente esplosivo. Ad agosto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno “messo un punto” su una questione annosa: la rinuncia abdicativa alla proprietà di un bene immobiliare da parte del cittadino (tipicamente per oneri e tasse divenuti insostenibili). La Suprema Corte ha chiarito che il proprietario può rinunciare, senza oneri e senza bisogno di un “sì” della Pubblica Amministrazione: lo Stato se ne fa carico.
La bozza di manovra, però, introduce una norma che — nella lettura di Confedilizia — svuota l’efficacia della sentenza. In sostanza, si stabilisce che l’atto di rinuncia è nullo se non si allega una documentazione che attesti la conformità del bene a tutta la normativa vigente (urbanistica, ambientale, sismica, ecc.). «È un artificio — denuncia Spaziani Testa — per rendere impossibile ciò che la Cassazione ha riconosciuto, imponendo al cittadino oneri irrealistici proprio nei casi di disperazione economica per cui la rinuncia è nata. Un modo per dire: “Non voglio prendermi l’immobile e ti metto i bastoni tra le ruote”».
La critica è anche istituzionale: «Non piace una decisione del massimo organo giurisprudenziale? Non si aggira con la norma “trucco”. Se passasse, sarebbe facilmente censurabile e comunque inaccettabile nell’idea che veicola». La sensazione è che si guardi al tema con una lente di gettito più che con un’ottica di governance dello stock: terreni e fabbricati “senza valore” per il mercato, ma con costi vivi per chi li possiede, rischiano di restare zombie assets destinati al degrado.
Nelle battute finali, il presidente di Confedilizia torna al metodo: «A furia di bozze e retromarce, si produce solo incertezza. Chi scrive queste norme? Se la paternità è rivendicata solo quando conviene, non è un bel segnale. È più prestigioso far approvare una misura e poi attribuirsene il merito della sua cancellazione? Meglio sarebbe non inserirla proprio».
Al di là del tecnicismo, il filo rosso è la fiducia. Ogni anno l’Italia scambia centinaia di migliaia di case, ristruttura, affitta, mette a reddito, prova a rigenerare. Senza orizzonti stabili, i proprietari — soprattutto quelli piccoli — si ritirano sulla difesa: rimandano lavori, tolgono all’affitto, si disfano (quando possono) di asset che diventano costi. Il sistema, così, perde valore e qualità.
Accessibilità, salubrità, sicurezza: sono parole che hanno bisogno di politiche coerenti, non di spot. Se la manovra è il momento in cui si decide dove mettere le risorse e come orientare i comportamenti, la casa merita un capitolo organico, non tre righe qua e là nelle norme fiscali.
Confedilizia porterà queste istanze ai tavoli prima dell’approvazione definitiva: non per una battaglia di bandiera, ma per allineare il fisco alla realtà. La casa non è un bancomat, è il pilastro del risparmio degli italiani. Trattarla con serietà conviene a tutti.










