L’economista professor Fabio Verna, intervenuto nel programma Buongiorno Italia di Casa Radio ospite del direttore Giovanni Lacagnina, ha offerto una lettura approfondita e articolata del conflitto in Ucraina, mettendo al centro della discussione una dimensione spesso sottovalutata ma oggi decisiva: quella economica. Per Verna, osservare la guerra come un semplice scontro militare o come una crisi diplomatica significa comprenderne solo la superficie. Il conflitto, ormai, è entrato da tempo in una fase che l’economista definisce “geo-economica”, in cui ogni movimento sul campo genera effetti immediati su energia, mercati finanziari, commercio globale, industria, filiere produttive e rapporti tra grandi potenze. Ogni scelta, anche militare, viene inevitabilmente condizionata da calcoli economici, e ogni dato economico influisce sulle mosse sul terreno: materie prime, energia, ricostruzione, gestione delle riserve finanziarie e controllo delle risorse strategiche sono diventati strumenti di potere tanto quanto i carri armati o i missili.
Per comprendere pienamente questa dinamica, Verna invita a guardare al conflitto non solo in termini di eserciti e confini, ma come a un laboratorio in cui la geopolitica tradizionale si intreccia indissolubilmente con l’economia globale. È in questo quadro che prende corpo l’analisi dell’asse Stati Uniti-Russia, uno dei nodi centrali dell’attuale equilibrio mondiale. Washington e Mosca si muovono lungo un confine complesso: formalmente nemici, ma vincolati da interessi strutturali che impediscono di arrivare a uno scontro diretto aperto. Gli Stati Uniti mirano a contenere la Russia, ma un collasso totale di Mosca sarebbe rischioso, destabilizzerebbe l’architettura nucleare mondiale e aprirebbe spazi enormi alla Cina, un attore esterno ma in costante osservazione. La Russia, dal canto suo, cerca di difendere la propria influenza e la propria sovranità energetica, senza però chiudere le porte al dialogo, consapevole che il conflitto totale con l’Occidente comporterebbe rischi enormi.
In questo contesto si inserisce la figura di Donald Trump, che Verna descrive come il leader che ha introdotto nel confronto globale una logica imprenditoriale: quella del “deal”. Non si tratta solo di tattica politica, ma di una vera filosofia di gestione dei conflitti su base economica. Quando Trump afferma di poter “chiudere la guerra in quarantotto ore”, non propone miracoli diplomatici, ma dichiara il suo approccio strategico: riportare la Russia al tavolo negoziale e gestire l’esito in modo da tutelare gli interessi economici degli Stati Uniti, soprattutto nel settore energetico, tecnologico e delle ricostruzioni post-belliche. La logica è chiara: la pace non è un valore astratto, ma un risultato utile, una condizione da raggiungere quando conviene economicamente.
Putin, spiega Verna, conosce la logica imprenditoriale di Trump e la considera più prevedibile di quella di molti leader occidentali tradizionali. Si tratta di una diplomazia fondata su scambi concreti, concessioni contro vantaggi, risultati immediati più che ideali astratti. Questo approccio rende comprensibili le critiche di Trump all’Europa, definita “debole e incapace di decidere”, e le sue osservazioni sui ritardi ucraini nella gestione elettorale: strategie retoriche pensate per esercitare pressione politica e creare terreno favorevole a un accordo negoziale guidato dagli Stati Uniti.
Un episodio emblematico della relazione tra Washington e Mosca è il colloquio privato tra Trump e Putin, avvenuto all’interno dell’automobile del presidente americano, senza staff né interpreti. Un gesto che sfida ogni protocollo diplomatico tradizionale e che, secondo Verna, simboleggia una diplomazia parallela, diretta, personale, lontana dai vincoli istituzionali. Questo tipo di interazione riflette la filosofia di Trump: trattare direttamente con i grandi attori globali, puntando a risultati concreti piuttosto che a gesti simbolici. Non sorprende quindi che in passato l’ex presidente abbia suggerito a Zelens’kyj un accordo per ottenere accesso americano allo sfruttamento economico del Donbass, un tentativo mai realizzato ma altamente rivelatore della posta in gioco economica e strategica.
Altro nodo cruciale, sottolineato da Verna, riguarda gli oltre 200 miliardi di euro di asset russi congelati nei Paesi occidentali. Secondo l’economista, il destino di questi fondi rappresenta una delle questioni più delicate del post-conflitto: saranno confiscati e destinati alla ricostruzione? Saranno restituiti alla Russia come parte di un accordo? Qualunque decisione unilaterale potrebbe minare la credibilità finanziaria dell’Occidente e innescare una fuga di capitali sovrani. Nessuno Stato, infatti, manterrebbe più riserve in Europa se temesse che possano essere sequestrate, e questo fenomeno altererebbe profondamente l’architettura del credito globale, indebolendo l’eurozona e ridisegnando gli equilibri dei mercati finanziari internazionali.
L’analisi di Verna si sposta poi sul terreno militare ed economico dell’Ucraina, un Paese vasto e complesso, diviso culturalmente e linguisticamente tra un’Ovest filo-europeo e un’Est legata alla Russia. La Crimea e il Donbass, ricorda l’economista, rientrano storicamente nella sfera d’influenza russa, per ragioni culturali, geopolitiche ed economiche. L’invasione del 2022 nacque dalla convinzione — presto rivelatasi errata — che Kiev potesse essere conquistata rapidamente. La lunga colonna di mezzi russi diretti verso la capitale, rimasta bloccata per giorni, è per Verna “uno degli errori tattici più gravi di Putin”, frutto di una sottovalutazione della resistenza ucraina e di una sopravvalutazione della capacità logistica russa.
Fallito l’assalto a Kiev, Mosca ha concentrato le operazioni sull’Est, in una guerra di posizione che si combatte metro dopo metro, villaggio dopo villaggio. Il cuore economico del conflitto è il Donbass, una regione ricca di risorse minerarie e strategiche. Carbone, gas, terre rare, metalli e giacimenti energetici sotterranei sono stimati oltre i 12.000 miliardi di dollari, un patrimonio che rende il territorio uno dei più contesi del pianeta. Controllare il Donbass significa possedere leve economiche decisive per il futuro dell’Eurasia, e su questo fronte USA e Russia intrecciano interessi e strategie: la Russia rivendica il controllo naturale, mentre gli Stati Uniti hanno tentato di garantirsi una quota della futura valorizzazione economica.
Un ulteriore elemento di fragilità riguarda l’Europa, descritta da Verna come “gigante economico e nano politico”. L’Unione Europea dispone di enormi capacità industriali e finanziarie, ma manca di strumenti per trasformarsi in un attore geopolitico coerente: una linea estera comune, una difesa integrata, una politica industriale condivisa e una fiscalità unitaria. Il meccanismo dell’unanimità rende Bruxelles lenta e spesso paralizzata, incapace di rispondere in modo rapido ai cambiamenti globali. La guerra in Ucraina ha reso evidente questa debolezza: l’abbandono del gas russo ha provocato un aumento dei costi industriali, rallentato la competitività delle imprese, colpito occupazione e investimenti, e messo a dura prova la coesione interna. Gli Stati Uniti, storicamente, hanno sempre preferito un’Europa frammentata e meno capace di agire come potenza geopolitica autonoma: una forza europea coesa rappresenterebbe un concorrente diretto sui mercati globali. La celebre battuta citata da Verna — “Se il presidente degli Stati Uniti vuole telefonare all’Europa, quale numero deve comporre?” — sintetizza in modo ironico e incisivo questa vulnerabilità strutturale.
In questo contesto, la guerra in Ucraina diventa un laboratorio di geo-economia: le scelte dei governi non rispondono più soltanto a logiche militari, ma a strategie economiche complesse che riguardano energia, risorse naturali, materie prime, stabilità delle filiere globali e competitività industriale. Ogni decisione sul campo si riflette immediatamente sui mercati, sui prezzi dell’energia, sulle strategie industriali e sulle scelte degli investitori internazionali. L’economia globale e la geopolitica sono oggi indissolubilmente intrecciate, e comprendere l’una senza l’altra significa leggere solo una parte della realtà.
Per Verna, l’Europa si trova davanti a un bivio storico: restare una potenza economica incapace di incidere politicamente o compiere il salto necessario per diventare un vero soggetto geopolitico, in grado di tutelare i propri interessi e partecipare in modo consapevole alle decisioni globali. “Se l’Europa non diventa un vero soggetto politico ed economico,” conclude Verna, “rischia di restare per sempre spettatrice e di pagare i costi — economici, sociali, energetici — delle decisioni prese altrove.









