Deiana: “Il 2026 si gioca su tassi, dati e capitale”. La bussola per famiglie e imprese tra BCE e nuove opportunità per i mutui

Che cosa resta del 2025 e quali variabili possono orientare il 2026? Nell’intervista rilasciata ai microfoni di Casa Radio, Angelo Deiana prova a mettere ordine in un passaggio d’epoca in cui macroeconomia, tecnologia e finanza si intrecciano. Lo spartiacque non è l’“evento del giorno”, ma l’accelerazione prodotta dalla pandemia su tre fronti: intelligenza artificiale di massa, riorganizzazione delle filiere, nuova psicologia del rischio. Sul fronte casa, il messaggio è pragmatico: il rientro dei tassi ha reso il 2025 più favorevole per le compravendite e nel 2026 il tasso variabile può tornare competitivo.

C’è un momento, nel calendario economico, in cui la fine dell’anno impone un esercizio che i mercati fanno ogni giorno ma che la società tende a rimandare: distinguere il rumore dal segnale. Dicembre è il mese delle sintesi e delle previsioni, ma è anche il mese in cui il confine tra analisi e auspicio diventa più sottile.

Angelo Deiana, Presidente di Confassociazioni e Auxilia Finance, entra in questo spazio con un approccio che rifiuta le scorciatoie: niente “profeti” del 2026, piuttosto un ragionamento per forze strutturali. E la prima forzatura che l’intervista tenta di disinnescare è proprio quella più ricorrente nel dibattito pubblico: la tentazione di attribuire a un singolo fattore, un leader, una tecnologia, un conflitto, la responsabilità complessiva del cambiamento.

Deiana sceglie la via opposta: si può capire l’anno che arriva solo se si accetta che il mondo sia entrato in una transizione, e che la transizione sia ormai un “regime” stabile. Significa che l’incertezza non è più l’eccezione, ma una condizione di base. E significa anche che i fenomeni che oggi appaiono improvvisi sono spesso conseguenze di processi che hanno guadagnato velocità e massa critica negli ultimi anni.

Lo spartiacque è la pandemia: l’acceleratore che ha reso dominanti tre trasformazioni

Il cuore della lettura di Deiana è qui: la pandemia non è soltanto un evento sanitario che il mondo ha archiviato. è un acceleratore storico che ha spinto in avanti dinamiche già presenti, trasformandole in protagoniste. Il punto, nell’intervista, non è “dare la colpa” al Covid, ma riconoscere che da quel passaggio in poi alcune variabili hanno cambiato scala e natura.

La prima variabile è tecnologica, e riguarda l’intelligenza artificiale. Deiana insiste su un elemento spesso trascurato: l’AI esisteva già da tempo, ma la fase attuale coincide con la sua trasformazione in interfaccia di massa. Non è solo una tecnologia più potente; è una tecnologia che parla, che conversa, che si inserisce nella quotidianità. Questo rende l’AI una piattaforma, non uno strumento. E quando una tecnologia diventa piattaforma, tende a spostare potere: perché determina l’accesso alle informazioni, all’automazione, all’efficienza dei processi.

La seconda variabile è economica e industriale: le filiere globali stanno cambiando forma. La pandemia ha mostrato quanto fossero vulnerabili catene produttive iper-ottimizzate ma poco resilienti. Da lì, secondo Deiana, si innesta una riorganizzazione che si traduce in scelte strategiche: diversificazione, ri-localizzazione parziale, nuovi equilibri nei rapporti commerciali. In questo contesto si collocano anche le tensioni protezionistiche, i dazi, la competizione tra blocchi: non come “capricci” politici, ma come traduzione politica di una nuova geografia economica.

La terza variabile è psicologica e finanziaria insieme: il rischio percepito è diventato più alto e più presente. Guerre, instabilità, shock energetici, inflazione: elementi che si sommano e creano un clima in cui le famiglie e gli investitori cercano protezione, ma anche scorciatoie. È in questo clima che la concentrazione di valore sulle grandi piattaforme tecnologiche assume un ruolo centrale: non solo perché producono innovazione, ma perché sono percepite come “ancore” del futuro, magneti di capitale e aspettative.

Quando il potere corre lungo le reti: la frattura tra politica e infrastrutture

Uno dei passaggi più significativi dell’intervista riguarda il tema del potere. Deiana affronta la questione senza scivolare nella dietrologia, ma senza neppure minimizzare. La tesi è che oggi il potere si muove lungo le reti: reti tecnologiche, reti di dati, reti di infrastrutture digitali che, in alcuni casi, finiscono per assumere una natura “ultra-statale”. In altre parole: non è necessario occupare una carica istituzionale per influenzare scenari strategici; può bastare controllare un’infrastruttura critica. È un ragionamento che riguarda la geopolitica, ma non solo. Ha un riflesso immediato sulla finanza e sull’economia reale: chi controlla le infrastrutture controlla anche la velocità, i costi e le regole implicite dei flussi. Deiana sintetizza questa trasformazione in una frase: in questa fase il potere tende a distaccarsi dalla politica. La politica conserva il ruolo della decisione formale e della legittimazione; il potere, però, si posiziona dove stanno la capacità di esecuzione e le leve tecniche.

Questa frattura, tra decisione politica e infrastruttura di potere,  produce due conseguenze. La prima è che i sistemi democratici devono attrezzarsi per governare nuove forme di influenza che non rientrano nei perimetri tradizionali. La seconda è che le imprese e le famiglie entrano in una stagione in cui la competenza diventa una forma di protezione: capire come funziona una rete, come si muove un mercato, come si forma un prezzo non è più un lusso per specialisti, ma una necessità diffusa.

Europa tra Stati Uniti e Cina: la partita della scala e la condizione finanziaria

Dentro questo scenario, Deiana colloca l’Europa in una posizione scomoda: tra due blocchi con capacità di scala superiori, soprattutto sul fronte dei dati e delle piattaforme tecnologiche. È la questione della massa critica: dimensione del mercato, velocità degli investimenti, capacità di consolidare campioni industriali e digitali. In un mondo che premia la scala, l’Europa paga la frammentazione. Deiana individua un potenziale vantaggio europeo: la forza del mercato di consumo e il reddito pro capite. L’Europa, in questa lettura, può contare su una domanda robusta, su un sistema di regole e standard che può orientare qualità e credibilità. Non è poco: in economie mature, la domanda è anche potere, perché stabilisce soglie e condizioni di accesso.

Il punto, però, è la condizione necessaria per trasformare questa domanda in una strategia. Deiana la colloca sul piano finanziario: mercato dei capitali comune e unione bancaria. Senza una vera integrazione finanziaria, le grandi ambizioni – transizione industriale, sicurezza, competitività, innovazione – restano obiettivi “senza carburante”. È qui che il ragionamento diventa quasi contabile: in un sistema capitalistico, gli obiettivi si raggiungono se si possono finanziare. E quindi, per capire il 2026, bisogna seguire il flusso del capitale: dove va, perché va, con quali regole.

BCE, tassi e credito: dallo shock al rientro, con un 2026 ancora dipendente dalla traiettoria monetaria

La macroeconomia diventa concreta quando tocca il credito. Deiana ricostruisce la sequenza recente con una logica lineare: dopo la pandemia, l’inflazione è salita e le banche centrali hanno reagito con una stretta rapida e intensa. Questo ha aumentato il costo del denaro, e quindi ha inciso sui mutui, sui prestiti, sugli investimenti delle imprese. In questa ricostruzione, il 2023 è il punto di massima pressione; il 2024 una fase di normalizzazione; il 2025 un anno più favorevole grazie al rientro dei tassi.

Sul 2026 l’intervista non promette certezze, ma indica una direzione: la possibilità di ulteriori ritocchi al ribasso dei tassi esiste, anche se non necessariamente in modo drastico. È una prudenza coerente: la traiettoria dipende da inflazione, crescita, stabilità finanziaria e dalle scelte di politica economica. Ma il messaggio di fondo è chiaro: tassi più bassi – anche di poco – sostengono la domanda di credito e riducono la soglia d’ingresso per investimenti e acquisti immobiliari.

Il mercato casa: variabile di nuovo in gioco, compravendite e sostenibilità delle rate

È sul mercato immobiliare che la puntata trova uno dei suoi sbocchi più immediati. Deiana parla di un 2025 “tra virgolette positivo”, associando l’aumento delle compravendite al rientro dei tassi. È una connessione che, nella sostanza, è un indicatore di fiducia: quando il costo del credito scende, la casa torna a essere un progetto e non un rischio. Il punto operativo più utile, per famiglie e operatori, riguarda il confronto tra fisso e variabile. Negli anni di tassi elevati, il fisso è stato spesso percepito come protezione: stabilità della rata, visibilità del costo complessivo, minore ansia da oscillazione. Ma quando la curva dei tassi inizia a scendere, il variabile torna a presentarsi come opzione competitiva. Deiana lo segnala con chiarezza: con un ulteriore calo dei tassi nel 2026, il variabile potrebbe risultare ancora più interessante.

Questo non significa che il tasso variabile sia “sempre” la scelta migliore. Significa che torna ad avere spazio in un mercato che, per un periodo, lo aveva penalizzato. In un’ottica da economia domestica, la differenza è rilevante: una rata più bassa può tradursi in maggiore capacità di spesa o in maggiore resilienza familiare. In un’ottica di mercato, un credito più accessibile può sostenere volumi e rendere più fluida la domanda.

Deiana inserisce qui un giudizio sull’Italia che evita i toni drammatici: l’economia non corre, ma non è neppure in una fase di sofferenza estrema. In questo contesto, le prospettive per le famiglie che vogliono comprare casa vengono definite “abbastanza positive”. È una formula che, tradotta in termini concreti, significa che il 2026 potrebbe mantenere condizioni di credito meno ostili rispetto al picco della stretta, pur in un quadro generale in cui la prudenza resta necessaria.

Conti correnti e commissioni: perché la “normalizzazione” non è automatica

Il passaggio sui costi bancari è, probabilmente, il più netto dell’intervista. Alla domanda se sia realistico immaginare conti correnti a costo zero per i correntisti “semplici”, Deiana risponde con scetticismo: l’ipotesi appare remota. La ragione, nel suo ragionamento, non è morale ma strutturale: le commissioni e i ricavi da servizi rappresentano una componente importante e relativamente stabile del modello di business bancario.

Deiana richiama due elementi che spiegano l’eccezionale redditività del settore negli ultimi anni. Da un lato, il differenziale tra il costo del denaro e la remunerazione effettiva dei depositi: quando i tassi salgono, le banche incassano di più sui prestiti, mentre la remunerazione dei correntisti tende a restare più bassa, e questo crea margini. Dall’altro lato, l’effetto dei finanziamenti garantiti in fase pandemica, che avrebbe contribuito a ridefinire il profilo di rischio e a liberare capacità finanziaria. In chiusura, la metafora è efficace e popolare: se una fonte di ricavo è una “gallina dalle uova d’oro”, non la si abbandona spontaneamente.

Il sottotesto è chiaro: il cambiamento sui costi dei conti correnti non dipende solo dalla buona volontà delle banche, ma da concorrenza, regolazione e trasparenza. E, soprattutto, dalla capacità dei consumatori di confrontare e scegliere. In un mercato che si muove per incentivi, la pressione competitiva è spesso più efficace dell’indignazione.

Confassociazioni: rigenerazione, competenze e nuova centralità della comunicazione

L’ultima parte dell’intervista si sposta sul terreno associativo, ma in continuità con il resto: se la fase è di discontinuità, anche la rappresentanza deve evolvere. Deiana descrive Confassociazioni come una struttura ampia, con un tessuto di imprese e professioni che riflette il Paese reale. E colloca il rinnovamento nella cornice del decennale: non una celebrazione, ma un’occasione per “investire” sul prossimo decennio. La parola chiave è rigenerazione: allargamento della governance, nuove responsabilità, rafforzamento delle competenze. Deiana insiste sulla centralità della comunicazione e dell’informazione come elemento strategico, non ornamentale. In un mondo dove il potere corre lungo le reti, la credibilità della comunicazione professionale diventa una leva: per rappresentare interessi, per costruire consenso, per orientare decisioni e per evitare che il dibattito venga catturato da narrazioni semplificate.

C’è anche un elemento culturale che attraversa l’intervista e che qui trova una sintesi: la qualità della comunicazione non può ridursi a marketing o pura logica commerciale. In una fase segnata dall’AI e dalla velocità, comunicare significa anche verificare, contestualizzare, selezionare. È una responsabilità professionale che riguarda associazioni, media, imprese e cittadini.

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BRICKS AND MUSIC
Puntata del 17/12/25
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