Costruire valore, non solo edifici: la visione sistemica dell’ambiente costruito – Intervista con Marco Mari

L’ingegnere e advisor Marco Mari riflette sul ruolo dell’edilizia come leva di sviluppo sostenibile, culturale e sociale. In un dialogo denso di visioni, dati e consapevolezza, invita a superare la logica del progetto isolato per abbracciare una visione sistemica, dove sostenibilità, equità, bellezza e gentilezza diventano parte dello stesso disegno: quello di un nuovo modo di essere e abitare il mondo.

«Non è più possibile abitare con un fare predatorio» — afferma con tono pacato ma deciso Marco Mari, tra i più autorevoli interpreti italiani della sostenibilità applicata all’ambiente costruito. Ingegnere, consulente e advisor con oltre venticinque anni di esperienza, Mari ha accompagnato istituzioni, imprese e associazioni nel percorso di transizione ecologica e nella diffusione di una cultura del costruire responsabile. E la sua riflessione parte da un punto chiaro: l’abitare è un atto politico e culturale, non solo tecnico.

Ogni edificio, ogni infrastruttura, ogni spazio progettato influisce non soltanto sul pianeta, ma anche sulle relazioni sociali, sulla salute e sulla qualità della vita. «L’ambiente costruito incide su tutto — spiega —: il 40% dei consumi energetici, quasi il 38% delle emissioni di CO₂ e oltre il 30% dei rifiuti derivano dal settore edilizio, che assorbe il 40% delle materie prime. Numeri che rendono evidente quanto la nostra casa, il nostro quartiere o la nostra città siano parte integrante del problema, ma anche della soluzione.»

Da qui l’urgenza di un nuovo paradigma, capace di accettare e governare la complessità. «In un sistema semplice, se hai un buco metti un tappo; in un sistema complesso, mettere un tappo può generare altri squilibri», ricorda Mari. La sostenibilità, dunque, non è un insieme di buone pratiche isolate, ma un processo che tiene insieme economia, società e ambiente in una rete di interdipendenze. «Dobbiamo imparare a pensare e pianificare in modo inclusivo, rigenerativo e non espulsivo. Altrimenti rischiamo di creare quartieri sostenibili solo per pochi, alimentando gentrificazione e nuove disuguaglianze.»

Il tema dell’“affordable housing”, dell’abitare accessibile, diventa così parte della sostenibilità stessa. Non può esserci edilizia sostenibile se non è anche equa, se non restituisce qualità di vita a tutte le fasce sociali. «Dobbiamo passare dal singolo edificio alla scala urbana — sottolinea Mari —, progettando quartieri integrati dove le relazioni umane, i servizi e gli spazi pubblici diventino parte della performance ambientale complessiva.»

In questo scenario, l’Europa gioca un ruolo centrale. Il Green Deal europeo, le nuove direttive sulla prestazione energetica degli edifici (EPBD) e la Restoration Law non sono solo strumenti normativi, ma — come spiega Mari — «un vero e proprio piano industriale per il futuro del continente, che punta a rendere la sostenibilità una leva di competitività e di benessere diffuso». L’obiettivo è duplice: contrastare le economie basate su basso welfare e basso costo del lavoro e promuovere modelli di sviluppo ad alto valore sociale e ambientale. «Non si tratta di ecologismo fine a sé stesso — osserva Mari — ma di costruire un’economia della qualità. L’Europa non impone dazi, ma standard: chiede che ciò che costruiamo sia bello, durevole, salubre e misurabile.»

Ed è proprio la misurabilità uno dei pilastri del pensiero di Mari. «Ogni azione deve essere accompagnata da indicatori concreti. Solo ciò che si misura può essere migliorato.» In quest’ottica, protocolli come LEED, BREEAM, GBC Historic Building o i Criteri Ambientali Minimi (CAM) non sono vincoli, ma strumenti di garanzia e trasparenza, che consentono di progettare edifici e infrastrutture con una visione di ciclo di vita e di responsabilità condivisa. Non a caso, spiega, «i CAM per l’edilizia richiamano esplicitamente i protocolli energetico-ambientali: è la dimostrazione che il pubblico riconosce e valorizza strumenti nati dal basso, dalla filiera.»

Ma la sostenibilità non è fatta solo di calcoli e certificazioni. A un certo punto del dialogo, Mari introduce una parola insolita per un ingegnere: gentilezza. «La gentilezza non è cortesia formale — precisa —, ma la capacità di mettersi nei panni dell’altro, ascoltare, non giudicare, e generare valore condiviso. È empatia in azione.» Un concetto che, traslato nel mondo dell’edilizia, diventa quasi rivoluzionario: significa progettare con empatia, comprendendo i bisogni di chi abiterà quegli spazi e di chi li costruisce, in un equilibrio tra etica, estetica e sostenibilità.

In fondo, sostiene Mari, la transizione giusta — quella che non lascia indietro nessuno — non può prescindere da una rivoluzione culturale. Serve un cambio di paradigma umano prima ancora che tecnologico. «Dobbiamo guardare oltre noi stessi, oltre confini di paesi, etnie, religioni e culture. Solo così potremo costruire non solo edifici, ma relazioni e comunità più resilienti.»

Il suo approccio unisce metodo e visione, dati e sensibilità, facendo emergere la dimensione più profonda della sostenibilità: quella della cura. Cura per il pianeta, per le persone, per la bellezza del costruire bene. Una cura che — come suggerisce il titolo stesso del podcast che lo ospita — è la chiave per imparare, passo dopo passo, a essere e abitare in modo consapevole.

Chi è Marco Mari
Ingegnere e advisor in ambito di sviluppo sostenibile e ambiente costruito, Marco Mari da oltre vent’anni si occupa di strategie e strumenti per la transizione ecologica nel settore edilizio e infrastrutturale. Collabora con istituzioni pubbliche, imprese e organizzazioni internazionali nella definizione di processi di accountability, metriche di impatto e protocolli di sostenibilità. È oggi Advisor di Casa Radio per i temi dello sviluppo sostenibile e dell’ambiente costruito.

Crediti fotografici: Viateur – Pixabay

Ascolta ora il Podcast:

ESSERE E ABITARE | Marco Mari
Puntata del 23/10/25
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