Roma ha assistito a due momenti distinti di paura.
Il primo, nella tarda mattinata di ieri, lunedì 3 novembre, quando una porzione della Torre dei Conti , l’antico bastione medievale incastonato tra via Cavour e i Fori Imperiali , ha ceduto improvvisamente. Il secondo, a distanza di poco più di un’ora, durante le operazioni di soccorso, quando altri distacchi interni hanno sollevato una nuova nube di polvere. La sequenza degli eventi descrive una struttura entrata in crisi che, nel tentativo di trovare un nuovo equilibrio, ha innescato un collasso in più atti: prima all’esterno, poi verso l’interno, coinvolgendo porzioni di solai e del vano scala.
La macchina dei soccorsi si è attivata immediatamente: messa in sicurezza del perimetro, deviazioni del traffico, verifiche visive dall’alto con droni, autoscale schierate, squadre specializzate impegnate in un contesto operativo ad alto rischio. In cantiere erano presenti undici lavoratori. Tre sono stati subito intercettati e assistiti; un quarto, rimasto intrappolato, è stato individuato e raggiunto dopo un complesso lavoro di rimozione e aspirazione delle macerie. Le operazioni sono proseguite per ore, con cautela estrema dopo il secondo cedimento. Octay Stroici, 66 anni, è stato estratto in condizioni molto gravi e trasferito in ospedale: nonostante i tentativi di rianimazione, è deceduto. Gaetano La Manna, 64 anni, trasportato in codice rosso al San Giovanni per trauma cranico e ferite al volto, è stato dimesso in serata con una frattura al naso e contusioni. Altri due operai hanno riportato traumi lievi e non sono stati trattenuti. Nessun civile è rimasto ferito; i vigili del fuoco, pur operando in un contesto mutato dal secondo crollo, sono usciti illesi.
Che cosa è effettivamente crollato
La convergenza delle prime analisi tecniche individua nel contrafforte centrale del lato meridionale l’innesco del collasso. I contrafforti — robuste masse murarie addossate alle pareti — servono a contrastare le spinte fuori piano e a ridistribuire gli sforzi su organismi storici in muratura. Quando un elemento di questo tipo perde capacità, l’assetto statico della parete cui si appoggia cambia all’istante: si attivano fessure, micro-scorrimenti, ribaltamenti locali; il quadro fessurativo può poi propagarsi verso l’interno lungo i solai e i setti trasversali, sino a generare crolli progressivi. È il modus operandi tipico di molte crisi su edifici storici privi di telai moderni e irrigidimenti diaframmati.
Il secondo cedimento avrebbe riguardato porzioni interne: segnali coerenti con una degradazione del sistema di appoggi delle strutture orizzontali e con una diffusione della crisi oltre il solo contrafforte. Non siamo in presenza di una “frattura unica”, ma di un evento evolutivo che, a partire da un punto debole, ha inciso rapidamente sull’intero equilibrio locale.
Un restauro complesso, un organismo fragile
Il cantiere in corso sulla Torre dei Conti, finanziato con risorse pubbliche, non prevedeva un semplice maquillage: consolidamento strutturale, messa in sicurezza, rifunzionalizzazione con un percorso di visita. Interventi di questo tipo, su manufatti con stratificazioni secolari, richiedono una coreografia rigorosa di fasi temporanee: smontaggi parziali, alleggerimenti, puntellamenti, posa di ponteggi e cerchiature. Ogni passaggio modifica, anche se per poco, la distribuzione delle spinte; ogni puntello diventa parte integrante dell’equilibrio. È il motivo per cui la direzione lavori e il coordinamento della sicurezza pianificano sequenze e ridondanze: se una gamba cede, le altre tengono.
La Torre dei Conti aggiunge un livello ulteriore di complessità. È un organismo stratificato: nasce nel XIII secolo, subisce spoliazioni, terremoti, rifacimenti; perde i livelli superiori, si abbassa a quello che oggi è di fatto un basamento di poco meno di trenta metri; nel Seicento vengono aggiunti i contrafforti. Nel Novecento, con le grandi trasformazioni urbane, viene isolata da nuovi tracciati viari, esponendola a un microclima differente. Negli anni recenti sono stati segnalati fenomeni di infiltrazione d’acqua e degrado degli intonaci interni: l’acqua, nei manufatti storici, non è un guasto superficiale, ma una patologia che indebolisce malte e giunti, favorisce la cristallizzazione dei sali, apre la strada a distacchi di porzioni murarie.
Le ipotesi tecniche: perché potrebbe essere accaduto
In attesa delle perizie, la comunità degli strutturisti e dei restauratori riconosce alcune ipotesi principali, che raramente operano da sole ma più spesso come concause.
1) Degrado nel tempo di murature e malte. La lunga storia della torre, con materiali disomogenei, cicli termici e igrometrici, inquinamento atmosferico, può aver ridotto la coesione dei giunti e la qualità dei piani di contatto tra paramenti. Un contrafforte “stanco” diventa sensibile a variazioni di carico o a minime perdite di confinamento.
2) Infiltrazioni d’acqua e umidità di risalita. La presenza di umidità prolungata dilava i leganti, introduce sali, genera fessurazioni sottili e distacchi all’interno della tessitura muraria. Il danno può risultare invisibile all’esterno fino al momento in cui una variazione di sollecitazione — per esempio durante una fase di cantiere — attiva il collasso.
3) Fasi di cantiere e opere provvisionali. L’alternanza di smontaggi, puntellamenti e sovraccarichi di materiale introduce stati limite temporanei. Se un puntello non lavora come previsto, se la ridondanza non è sufficiente, se un peso accidentale grava nel punto sbagliato, l’equilibrio locale può rompersi. La presenza di un secondo crollo durante i soccorsi è compatibile con una struttura in cui le condizioni al contorno erano già mutate e precarie.
4) Interazione con le strutture archeologiche sottostanti. La torre insiste su un’area di straordinaria densità storica, con resti antichi del complesso del Tempio della Pace. Differenze di rigidezza tra appoggi medievali e setti romani, vuoti, discontinuità o compressioni localizzate possono creare punti di concentrazione di tensione lungo la catena dei carichi fino al terreno. È una pista da verificare, specie laddove siano presenti cavità o riempimenti.
5) Vibrazioni e micro-sollecitazioni. Anche in assenza di terremoti, vibrazioni di cantiere, passaggi di mezzi, micro-sollecitazioni possono innescare cinematismi in murature già fessurate o in condizioni di equilibrio limite.
6) Perdita storica di massa e rigidezza. L’abbassamento della torre, avvenuto nei secoli, ha mutato i modi di vibrare e il baricentro dell’organismo. I contrafforti seicenteschi “compensano” una fragilità, ma sono essi stessi aggiunte che concentrano spinte e richiedono appoggi sani: se questi appoggi sono indeboliti, l’intero sistema ne risente.
La sintesi più probabile, dunque, non parla di una “causa unica”, ma di un punto debole (il contrafforte sud) che, in un contesto già predisposto da umidità e antiche ferite, ha incontrato un momento delicato della sequenza di cantiere.









