La discussione sugli affitti brevi è tornata al centro del dibattito, sospinta da misure fiscali in arrivo e da ipotesi di riforma delle procedure di sfratto.
Nel mezzo, la figura del piccolo proprietario: famiglie che affittano una seconda casa per integrare il reddito o per mantenerla in efficienza, e che oggi si trovano a fare i conti con regole mutevoli, aliquote crescenti e messaggi contraddittori. A Casa Radio, Dario Pileri, presidente di Pro.Loca.Tur ha offerto una lettura netta: “Si sta confondendo il fenomeno degli affitti turistici con l’emergenza casa. Sono due piani diversi. Sovrapporli porta a misure inefficaci e, in molti casi, controproducenti”. Un invito, il suo, a guardare i numeri e a distinguere gli obiettivi: da un lato l’ordine urbano e la qualità della vita nei centri storici; dall’altro la necessità di riportare stock al canale residenziale tradizionale con strumenti che agiscano dove davvero serve.
Cedolare secca, intermediari e “norma al contrario”
Il cuore della controversia riguarda l’aumento della cedolare secca per le locazioni brevi veicolate da intermediari: piattaforme digitali, portali, agenzie. È questo, nella pratica, il canale dominante della domanda e dell’offerta; quello che ha introdotto pagamenti elettronici, tracciabilità e sostituto d’imposta. Secondo Pileri la scelta di colpire proprio questo segmento suona come una “norma al contrario”: punisce i comportamenti più trasparenti e lascia teoricamente invariato il regime per chi si arrangia in proprio, un canale residuale nella realtà dei fatti.
La critica non è ideologica. È un ragionamento di incentivi: se si rende più gravoso l’utilizzo delle piattaforme, si rischia di spingere una parte dell’offerta verso modalità meno controllabili o, più semplicemente, di ridurne la consistenza. È un paradosso: si alza l’aliquota proprio là dove oggi arrivano ritenute alla fonte e gettito anticipato, mentre si premia — almeno “sulla carta” — chi non si affida a intermediari. Da qui l’ironia, in studio, sui “cartelli in aeroporto”: un’immagine per spiegare quanto sia poco realistico immaginare l’incontro tra domanda e offerta senza i canali digitali che negli ultimi dieci anni hanno professionalizzato il settore.
C’è poi un profilo spesso sottovalutato: la base imponibile. Nelle locazioni a breve la cedolare si applica sull’incassato lordo; a carico del proprietario restano costi che, nel lungo, sono più frequentemente trasferiti all’inquilino: utenze, condominio, manutenzioni ordinarie, oltre alla commissione di intermediazione. La differenza è sostanziale. Se si incassano cento euro a notte, il prelievo si calcola su cento; ma da quei cento vanno sottratti i costi vivi della gestione e le fee del canale utilizzato. Un’aliquota più alta su una base lorda può erodere in modo significativo il margine, soprattutto per chi non opera su scale da impresa.
Sullo sfondo, un’altra osservazione: l’introduzione del sostituto d’imposta ha portato a una scansione dei versamenti che anticipa le entrate per l’erario, allineandole ai flussi effettivi con periodicità trimestrali. Un modello che ha reso più “certi” i gettiti, ha migliorato la compliance e ha ridotto spazi di ambiguità. Colpire questo segmento rischia di mettere in tensione proprio il canale che, nel complesso, ha funzionato meglio.
Sfratti e certezza del diritto: perché molti proprietari “scappano” dal lungo
Accanto al capitolo fiscale, la discussione si sposta sul terreno della giustizia civile: i tempi e l’incertezza delle procedure di rilascio in caso di morosità. È un tema ricorrente tra i piccoli proprietari: esperienze negative nel canale lungo hanno spinto molti a scegliere il turismo dove possibile. Non perché il canone turistico sia sempre più redditizio — non lo è in ogni contesto e in ogni città — ma perché la prevedibilità dei ricavi e la disponibilità dell’immobile sono percepite come più sicure.
Da qui l’interesse verso proposte che prevedono percorsi accelerati di rilascio quando la morosità supera soglie chiare e quando il comportamento dell’inquilino è colpevole e documentato. Pileri invita a prudenza e approfondimento, ma riconosce il punto di fondo: se l’obiettivo di policy è riportare offerta sul lungo, occorre ridurre l’avversione al rischio del piccolo proprietario. Le leve possono essere diverse: procedure più snelle, modelli assicurativi diffusi, escrow e depositi a tutela bilaterale, canali di conciliazione rapidi. Ogni passo nella direzione della certezza del diritto riapre il dialogo tra proprietari e domanda di medio periodo.
Emergenza casa: questione strutturale, non “effetto Airbnb”
Il frame “affitti brevi = causa dell’emergenza abitativa” è seducente perché semplice. Ma, come sottolinea Pileri, l’emergenza casa in Italia dura da venti o trent’anni ed è il prodotto di fattori molteplici: salari stagnanti, cicli del credito più severi, riduzione dell’edilizia residenziale pubblica, disallineamento tra nuove domande (studenti, giovani lavoratori, famiglie in transizione) e offerta disponibile, inerzie urbanistiche e burocratiche. In questo mosaico, le locazioni turistiche non sono né “il” problema né “la” soluzione.
La distinzione cruciale riguarda la composizione dello stock. Gli appartamenti che performano sul breve in location premium dei centri storici non coincidono con l’housing “accessibile” per famiglie a reddito medio-basso. Anche a prescindere dal turismo, un trilocale affacciato su una piazza monumentale ha un canone di mercato fuori portata per un insegnante o per una giovane coppia. Confondere i piani porta a interventi errati: si colpisce un segmento che non drenerebbe, comunque, alloggi al canale sociale o calmierato. Se l’obiettivo è potenziare l’offerta per studenti e lavoratori, la leva non è tassare indiscriminatamente il breve; è promuovere studentati, co-living regolati, convenzioni pubblico-privato, recupero di patrimonio pubblico in disuso, incentivi mirati al canone concordato e alla ristrutturazione con vincolo di destinazione.
Ospitalità diffusa e ricadute locali: come cambia l’economia di quartiere
Un elemento spesso trascurato è l’impatto sull’economia di prossimità. L’ospite dell’affitto breve tende a vivere il quartiere come un residente temporaneo: fa colazione al bar, compra in panetteria, pranza nella trattoria sotto casa, usa il supermercato. In altre parole, sostiene la stessa rete commerciale che serve i cittadini. L’hotellerie di fascia alta, al contrario, alimenta prevalentemente circuiti di spesa interni o di alto prezzo: perfettamente legittimi, ma più polarizzati e meno inclusivi per la media dei residenti.
Non si tratta di contrapporre modelli, ma di riconoscere la loro differente “impronta” sul territorio. In contesti dove l’apertura di hotel a cinque stelle procede a ritmo sostenuto, la presenza di ospitalità diffusa può riequilibrare gli effetti di polarizzazione, mantenendo vivo un tessuto di botteghe e artigiani che altrimenti faticherebbe a reggersi. Una regolazione intelligente dovrebbe tenere conto di queste dinamiche e, se necessario, ponderare limiti e requisiti con criterio urbanistico, non solo fiscale.
Demografia: l’elefante nella stanza che svuota i centri storici
Il passaggio più spiazzante dell’analisi di Pileri riguarda i dati demografici dei centri storici, con Roma come caso emblematico. Nel I Municipio, le nascite annue sono sensibilmente inferiori ai decessi: la popolazione si assottiglia naturalmente, indipendentemente dal mercato turistico. Meno residenti significa scuole che chiudono, servizi che arretrano, una base fiscale che si restringe, una manutenzione del patrimonio che rallenta.
Qui il ragionamento si rovescia: in assenza di politiche che invertano o attenuino lo spopolamento, l’ospitalità diffusa può contribuire a mantenere in esercizio gli immobili e a giustificarne la cura. Togliere ossigeno fiscale e regolatorio a questo canale — soprattutto colpendo il segmento tracciato — rischia di produrre l’effetto opposto a quello dichiarato: più serrande abbassate, più edifici degradati, meno sicurezza percepita. Il punto non è “più affitti brevi per tutti”, ma il contrario: distinguere e dosare gli strumenti in funzione degli obiettivi di medio periodo, incrociando urbanistica, welfare abitativo e attrattività.
Intermediari, trasparenza e rischi di regressione
Il criterio usato per differenziare l’aliquota — l’uso dell’intermediario — appare ad addetti ai lavori e operatori come una semplificazione poco aderente alla realtà. Oggi l’incontro tra domanda e offerta viaggia in grandissima parte su piattaforme che garantiscono verifica degli utenti, sistemi di recensioni, pagamenti elettronici e ritenute fiscali. Spingere anche solo una frazione di contratti sull’informalità o su canali opachi, oltre a mettere a rischio la qualità del servizio, può ridurre il gettito e aumentare il contenzioso.
La logica di policy suggerirebbe l’inverso: premiare la tracciabilità, vincolare eventuali benefici a standard di qualità e sicurezza, consolidare il ruolo del sostituto d’imposta, usare i dati per calibrare le decisioni. Invece, la leva fiscale finisce per penalizzare proprio chi fa le cose in chiaro. È una frizione che genera sfiducia e che difficilmente porterà più offerta al canale lungo.
Comunicazione e realtà dei numeri: evitare capri espiatori
“Non chiamatela più emergenza casa: dopo trent’anni è una condizione strutturale,” hanno provocato i conduttori in apertura. La comunicazione pubblica, quando sceglie semplificazioni sbagliate, finisce per produrre cattive politiche. La narrazione “affitti brevi = causa della scarsità” è rassicurante perché individua un colpevole immediato, ma non regge al test dei numeri. La scarsità, nelle fasce che interessano studenti e famiglie, si affronta costruendo offerta mirata, rimuovendo attriti regolatori, rendendo conveniente — e non punitivo — il rientro nel lungo periodo.
Al contempo, l’ordine urbano e la qualità della vita richiedono regole che tutelino il diritto al riposo e alla sicurezza dei residenti. Ma anche qui gli strumenti esistono: limiti di densità in micro-aree, sanzioni effettive per chi viola regole di convivenza, standard minimi di comfort e di isolamento acustico, interoperabilità tra piattaforme e amministrazioni per intervenire rapidamente sui casi patologici. Si possono colpire gli abusi senza colpire l’intero segmento, e soprattutto senza penalizzare chi opera secondo le regole.
Distinguere per governare
Dall’intervista emerge un criterio guida che dovrebbe diventare bussola della politica: distinguere per governare. Distinguere gli stock immobiliari (pregio vs accessibile), i canali (intermediati e tracciati vs informali), gli obiettivi (ordine urbano vs housing sociale), le geografie (centri iperturistici vs aree interne), le responsabilità (morosità colpevole vs disagio temporaneo). Solo una volta tracciata questa mappa ha senso decidere che cosa tassare di più, che cosaincentivare, dove limitare, come compensare.









