C’è una casa a Milano che non assomiglia a nessun’altra. È una casa piena di occhi, volti, colonne, meridiane, carte celesti. Una casa che non si visita: si attraversa, come si attraversa un sogno.
Non è un museo nel senso tradizionale. Non è la dimora di un artista, né uno showroom. È un luogo mentale, prima ancora che fisico. Ogni oggetto racconta una storia, ma lo fa senza gridare. E lo fa sempre con grazia, con ironia, con quella leggerezza che Calvino avrebbe definito “antidoto al peso del vivere”.
Oggi vi racconterò chi era Pietro Fornasetti, il suo stile, il suo mondo visivo fatto di volti enigmatici, colonne infinite, armadi misteriosi. Vi parleremo anche del figlio Barnaba, che ha rilanciato il marchio trasformandolo in una fucina contemporanea di design e visioni. Ma soprattutto vi porteremo dentro un modo radicale di intendere l’abitare: abitare come costruire un universo immaginario, dove arte e vita si fondono.
Nel 1940 conosce l’architetto Gio Ponti, e nasce un sodalizio straordinario. Ponti comprende la potenza del linguaggio fornasettiano: capisce che non si tratta di semplici decori, ma di un pensiero visivo complesso, colto, ironico.
Insieme progettano mobili, ambienti, oggetti per case, hotel, transatlantici. Pietro decora paraventi, armadi, consolle, sedie, servizi da tavola, scatole, piatti, piastrelle, persino camini e pianoforti. E ogni oggetto è trattato come una tela: nulla è neutro, ogni superficie è uno spazio narrativo.
Uno degli oggetti più celebri è il mobile Architettura, realizzato per la Triennale del 1951: un mobile-cassettiera che riproduce la facciata di un palazzo classico, con colonne e timpani, finestre finte e prospettive impossibili. Aprire quei cassetti è come entrare in un sogno neoclassico, dove ogni gesto quotidiano diventa un rito.
Oppure pensiamo ai paraventi geografici, decorati con mappe antiche. Sembrano oggetti di scena usciti da una favola settecentesca. O ai celebri piatti della serie “Tema e Variazioni”: più di 350 versioni del volto della cantante Lina Cavalieri, trasformata in sfinge, giocoliera, ladra, luna, angelo, maschera. Una vera e propria divinità domestica, al tempo stesso pop e archetipica.
Per Fornasetti il decoro è linguaggio, non ornamento. Ogni immagine è un simbolo. Ogni serie di oggetti è una variazione musicale su un tema iconico.
È come se volesse costruire un’enciclopedia visiva del mondo, ma scritta con leggerezza, con ironia. Un mondo dove il rigore classico convive con la libertà surrealista, e dove l’oggetto più comune – una sedia, un piatto, un portasigarette – può diventare un’epifania.
Barnaba: la custodia viva del sogno
Alla morte di Pietro, nel 1988, tutto sembra destinato a fermarsi. Ma è allora che entra in scena Barnaba Fornasetti, suo figlio. Nato nel 1950, cresciuto tra le stanze-laboratorio del padre, Barnaba è animato da una visione chiara: non trasformare Fornasetti in un museo della memoria, ma farne un laboratorio del presente.
Nel 1990 riapre l’atelier, recupera i disegni, ristampa i decori, reinventa oggetti storici, ma anche progetta nuove serie. Sotto la sua guida, il mondo Fornasetti torna a vivere: non solo mobili e piatti, ma fragranze per ambienti, tessuti, carte da parati, vassoi, arredi personalizzati, e collaborazioni con grandi nomi della moda e del design contemporaneo.
In un’intervista, Barnaba dice:
> “Non mi interessa conservare un’icona. Voglio che Fornasetti resti vivo, che continui a parlare, a trasformarsi, a sorprendere.”
Ecco allora nuove collezioni come:
“Architettura Celeste”, con cieli stellati e pianeti immaginari;
“Farfalle e civette”, che riattualizzano il repertorio naturalistico;
oppure i grandi piatti “Scimmie a Palazzo”, che giocano con l’ironia e la teatralità del potere.
Barnaba introduce anche il concetto di sostenibilità artigianale: ogni oggetto Fornasetti è fatto a mano, secondo i metodi originali, con una cura quasi maniacale.
Nel mondo Fornasetti nulla è lasciato al caso. Anche il packaging, le etichette, le istruzioni per l’uso sono progettate come micro-racconti visivi. È un’estetica totale.
Un’estetica italiana, tra rigore e ironia
Pietro Fornasetti ha rivoluzionato il design italiano proponendo un’alternativa radicale al minimalismo. Mentre il mondo celebrava la linea pura e la funzione, lui rivendicava la decorazione come pensiero. La decorazione come provocazione.
Come scrisse Gio Ponti:
> “Fornasetti è un artista. Un vero artista. Di quelli che partono da un’idea e la trasformano in un mondo.”
E in effetti il suo mondo è fatto di ambiguità, giochi visivi, doppi sensi. Il suo è un barocco colto, intellettuale, ma mai freddo. Un barocco moderno, dove l’ornamento diventa simbolo, e il simbolo diventa stile.
Fornasetti ha influenzato profondamente il postmoderno italiano: pensiamo a Ettore Sottsass, al gruppo Memphis, o alla moda teatrale di Moschino. Tutti hanno assorbito quella capacità di trasformare l’oggetto in racconto.
E oggi, grazie a Barnaba, Fornasetti continua a parlare al mondo contemporaneo, tra mostre internazionali, installazioni immersive, collaborazioni con gallerie, progetti educativi.
Abitare Fornasetti non significa solo vivere tra oggetti belli. Significa vivere in un universo dove ogni oggetto ci guarda, ci interroga, ci invita a immaginare.
Significa abitare l’arte non come qualcosa da contemplare, ma da attraversare ogni giorno.
Significa scegliere una forma di eleganza che non esclude l’eccesso, ma lo sublima.
Significa credere che l’arte possa stare anche su un piatto, su un paravento, su una scatola di fiammiferi.
E allora forse la vera lezione di Fornasetti è proprio questa: la bellezza non è mai neutra. La bellezza è una presa di posizione.









