Oggi ci spostiamo nel cuore di Roma, in una zona tranquilla e un po’ defilata, tra il verde del quartiere Flaminio e la luce piena del Tevere. È qui che sorge una casa speciale: il Villino Andersen.
Ma chi era Hendrik Christian Andersen? Un artista visionario, nato in Norvegia nel 1872 e cresciuto negli Stati Uniti, giunto in Italia sulle orme del Grand Tour. Come tanti stranieri dell’epoca, scelse Roma non solo per ammirarne le rovine, ma per farne il centro della propria vita creativa.
Il villino, costruito tra il 1922 e il 1925, è molto più di una casa: è un vero e proprio manifesto. Andersen l’ha pensato come uno spazio dove l’arte potesse abitare insieme alla vita. Non un semplice museo, ma un luogo vivo, intimo, in cui ogni parete, ogni mobile, ogni dettaglio architettonico racconta un’idea.
Entrando nel villino, sembra di entrare nel cuore stesso dell’artista. Le sale sono piene di sculture monumentali, busti di figure idealizzate, volti sereni, corpi perfetti come quelli dell’arte classica. Andersen era profondamente influenzato dalla scultura neoclassica, ma aveva anche una sua visione personale: quella di un’arte che potesse elevare l’umanità.
Tra le opere più significative c’è la serie di bassorilievi che raffigurano concetti astratti: la pace, la giustizia, l’educazione, l’armonia. Non sono solo soggetti simbolici: per Andersen erano forze reali, strumenti di trasformazione sociale.
Il suo sogno più ambizioso fu il progetto di una “Città Mondiale”: un’enorme città utopica dedicata all’arte e alla fratellanza tra i popoli. Pensava che l’arte potesse davvero cambiare il mondo, renderlo migliore, più pacifico. Un sogno che oggi può sembrare ingenuo, ma che all’epoca fu oggetto di lunghi studi, lettere, disegni e addirittura presentazioni a presidenti e uomini di Stato.
Eppure, il Villino non è solo uno scrigno di sculture. È un’opera d’arte totale. I soffitti decorati, gli arredi disegnati su misura, gli specchi, le vetrate… tutto è pensato per creare un dialogo tra spazio e pensiero. La casa diventa un’estensione dell’anima dell’artista.
E ora, qualche curiosità. Sapevate che Andersen scrisse centinaia di lettere al presidente Roosevelt, cercando di convincerlo a sostenere la sua Città Mondiale? O che la casa fu lasciata in eredità allo Stato italiano, con l’obbligo di conservarla come luogo d’arte?
C’è anche un lato più intimo e misterioso: il suo rapporto con Horatio F. Brown, uno studioso britannico con cui condivise anni di corrispondenza affettuosa e intensa. Le lettere tra i due raccontano una relazione profonda, a tratti ambigua, in bilico tra amicizia e amore spirituale.
Oggi il Villino Andersen è un museo poco conosciuto, quasi segreto. Eppure è aperto al pubblico, gratuito, e accoglie i visitatori in un’atmosfera sospesa tra passato e visione. Un luogo che invita a fermarsi, osservare, meditare.
E allora, perché non andarci? Magari in una mattina luminosa, quando la città è ancora silenziosa, e il sole filtra tra gli alberi. Entrate nel Villino, ascoltate il silenzio delle stanze, lasciatevi avvolgere dalle forme, dai volti, dalle idee. Perché abitare l’arte non significa solo contemplarla. Significa viverla, sentirla propria.










