Palamara: “La riforma Nordio è un passaggio cruciale per la giustizia e la democrazia italiana”

Nel corso della trasmissione Buongiorno Italia, condotta dal direttore Giovanni Lacagnina, l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, è intervenuto per commentare la riforma della giustizia proposta dal ministro Carlo Nordio.

Secondo Palamara, l’Italia sta attraversando un momento di grande importanza istituzionale, poiché tra oggi e domani il Parlamento si appresta ad approvare per la seconda volta una riforma costituzionale destinata a incidere profondamente sull’assetto della magistratura.

La riforma tocca quattro punti centrali: la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, l’istituzione di due distinti Consigli Superiori della Magistratura (uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri), l’introduzione del sorteggio per la selezione di parte dei componenti del CSM e la creazione di una nuova corte disciplinare. Come ha spiegato Palamara, l’attenzione del grande pubblico si concentra soprattutto sulla separazione delle carriere, ma questa rappresenta solo una parte di un intervento molto più ampio che incide sull’ordinamento generale della magistratura e sull’equilibrio dei poteri dello Stato.

Una volta approvata definitivamente dal Parlamento, la riforma dovrà passare al vaglio dei cittadini, poiché non ha raggiunto il quorum dei due terzi previsto dall’articolo 138 della Costituzione. Ci sarà dunque un referendum confermativo nel quale gli italiani saranno chiamati a decidere se ratificare o respingere le modifiche approvate dalle Camere. Da qui, sottolinea Palamara, nasceranno inevitabilmente comitati favorevoli e contrari, in una contrapposizione che coinvolgerà anche la politica.

Secondo l’ex presidente dell’ANM, la magistratura associata si sta già schierando in gran parte per il “no”, mantenendo una posizione tradizionalmente contraria alla separazione delle carriere, per il timore che essa possa limitare l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario. Tuttavia, Palamara avverte che una simile posizione rischia di far apparire la magistratura schiacciata su posizioni politiche, spostando il dibattito dal piano tecnico-giuridico a quello politico.

Riguardo alle recenti dichiarazioni del presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha espresso perplessità sull’effettiva utilità della riforma, Palamara spiega che dal punto di vista tecnico essa rappresenta un passo avanti nel garantire la piena attuazione dell’articolo 111 della Costituzione, che sancisce il principio del “giusto processo”. Con la separazione delle carriere, infatti, il diritto di difesa dei cittadini sarà meglio tutelato, assicurando un equilibrio sostanziale tra accusa e giudice. Tuttavia, aggiunge, l’osservazione di La Russa contiene anche una valutazione politica: trattandosi di un referendum, la consultazione popolare potrebbe trasformarsi in un voto pro o contro il governo Meloni, come già avvenne nel 2016 con la riforma costituzionale del governo Renzi.

Palamara si è poi soffermato sulle parole del capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Lucio Malan, secondo il quale “i magistrati, se sbagliano, devono pagare”. Su questo punto, l’ex presidente dell’ANM ha riconosciuto che il tema della responsabilità dei magistrati resta un nodo irrisolto. Pur riconoscendo la difficoltà di giudicare chi esercita una funzione così delicata, Palamara ritiene giusto che il cittadino possa pretendere che ogni decisione sia presa nel pieno rispetto delle regole. “Se passa l’idea che chi sbaglia non paga mai – ha spiegato – si rischia di creare una sorta di regime di irresponsabilità, che non può essere accettato”. Oggi, ha aggiunto, i sistemi di valutazione professionale dei magistrati sono spesso troppo indulgenti e l’istituto della responsabilità civile è raramente applicato, alimentando un senso di impunità che mina la fiducia dei cittadini nella giustizia.

Infine, Palamara ha commentato la recente decisione della Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Palermo, confermando così l’assenza di collegamenti tra Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri con la mafia. “Si chiude un capitolo complesso e controverso della storia italiana degli ultimi trent’anni”, ha osservato, sottolineando che, pur attendendo le motivazioni della sentenza, la pronuncia rappresenta una “pietra tombale” su una vicenda che per decenni ha alimentato tensioni tra magistratura e politica. Una vicenda, conclude Palamara, che riporta alla luce le difficoltà nei rapporti tra i due poteri dello Stato e la necessità di ridefinire un equilibrio più chiaro e trasparente tra giurisdizione e rappresentanza politica.

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