Il sorpasso del pubblico nell’edilizia in legno: laboratorio di futuro o nuova bolla “verde”?

Per la prima volta gli appalti pubblici superano il residenziale privato. Numeri in crescita, ma la vera sfida si gioca su durabilità degli edifici, provenienza del legno e coerenza del concetto di sostenibilità.

Nel 2024 l’edilizia in legno italiana ha cambiato pelle. Non lo dicono le impressioni, ma i numeri del Secondo Osservatorio sull’Edilizia in Legno 2025 di Federazione Filiera Legno, presentato il 2 in una conferenza stampa online. Per la prima volta, il valore della produzione destinata alle opere pubbliche supera quello delle realizzazioni private, segnando un passaggio simbolico: il legno non è più “nicchia residenziale evoluta”, ma entra stabilmente nel cuore delle politiche di trasformazione del patrimonio edilizio del Paese, dalle scuole agli studentati finanziati dal PNRR, fino alle RSA e alle strutture turistiche.

Il fatturato 2024 del comparto si attesta a 2,301 miliardi di euro, sostanzialmente in linea con il 2023, a conferma di una filiera che regge anche senza l’effetto drogante dei bonus fiscali. Dietro la stabilità del dato complessivo, però, la composizione cambia in modo netto: il residenziale privato arretra del 9,2%, mentre il non residenziale – cioè gli edifici pubblici – cresce del 20%. Le opere accessorie calano dell’11%, penalizzate dalla fine degli incentivi sulle manutenzioni straordinarie.

A trainare è soprattutto il PNRR: secondo l’Osservatorio, i progetti ad esso collegati rappresentano da soli il 12% del valore della produzione 2024 in legno. È qui che il materiale mostra la sua carta più spendibile agli occhi della committenza pubblica: velocità esecutiva, basso impatto di cantiere, capacità di rispettare tempi stretti, oltre a prestazioni ambientali positive nel bilancio LCA. Non a caso, i nuovi Criteri Ambientali Minimi introducono per la prima volta un criterio premiante per i progetti che prevedono almeno il 20% di legno strutturale.

Secondo le proiezioni della Federazione, nel 2025 le opere pubbliche potrebbero arrivare a rappresentare fino al 60% del fatturato del comparto, amplificando lo spostamento del baricentro verso il settore pubblico.

Un settore più grande, più complesso, più industriale

Il quadro che emerge dall’Osservatorio è quello di una filiera che si sta strutturando: crescono le imprese che partecipano alle gare pubbliche, si rafforzano gli uffici tecnici interni, aumentano gli investimenti in progettazione ingegneristica. Le aziende che performano meglio sono quelle con fatturato superiore ai 15 milioni di euro e forti competenze tecniche in house.

Anche la mappa geografica si sposta: il Nord resta in testa con il 51% del costruito in legno, ma il Centro sale al 40% e mostra la crescita più dinamica; il Sud, pur rimanendo indietro, sale al 9%. Sul fronte tecnologico, il sistema a telaio sale al 53% delle opere, il CLT si attesta al 41%, mentre Blockhaus e altre tecnologie coprono il restante 6%.

Interessante anche il modo in cui gli edifici vengono consegnati: il 31% al grezzo, il 48% al grezzo avanzato, solo il 21% chiavi in mano. Un dato che conferma la centralità della filiera del legno all’interno di grandi appalti complessi, in cui la parte strutturale viene integrata in progetti ibridi ad alta intensità impiantistica e tecnologica.

Sul medio periodo, il settore guarda con fiducia al recepimento della Direttiva EPBD IV e alla Legge Europea sul Clima, che punta a una riduzione del 90% delle emissioni nette di gas serra entro il 2040 rispetto al 1990. L’idea – condivisibile – è che l’edilizia in legno possa contribuire a trasformare il settore delle costruzioni in un grande bacino di carbonio, supportando al tempo stesso un nuovo “Piano Casa” a basse emissioni.

Fin qui, i numeri raccontano una storia di crescita, resilienza e maturità industriale. Ma basta questo per parlare davvero di “sostenibilità”?

La domanda scomoda: quanto dureranno questi edifici?

Quando parliamo di edifici in legno inseriti dentro grandi programmi pubblici – PNRR in testa – una domanda dovrebbe essere messa nero su bianco, prima dei rendering e dei comunicati: per quanto tempo questi edifici saranno davvero utili, usati, manutenuti?

Un edificio in legno che dura 80–100 anni, ben progettato, ben manutenuto, con una vita d’uso lunga e adattabile, è un investimento di sostenibilità credibile: diluisce gli impatti iniziali lungo decenni, garantisce comfort, riduce i costi energetici, offre qualità abitativa e lavorativa.

Ma un edificio in legno costruito in fretta per inseguire una scadenza di spesa, concepito con una logica di breve periodo, senza una strategia chiara di uso e manutenzione, rischia di diventare un paradosso: un oggetto raccontato come “green” ma destinato a invecchiare male, a essere sottoutilizzato o trasformato a colpi di varianti disordinate, vanificando parte dei benefici ambientali iniziali.

Non c’è Osservatorio che, da solo, possa rispondere a questa domanda: la durabilità reale non sta solo nei capitolati, ma in una progettazione competente, nelle politiche di gestione degli immobili, nella capacità di progettare non solo il cantiere, ma il ciclo di vita.

Legno sostenibile… ma da dove viene?

C’è poi un secondo nodo, altrettanto scomodo, che riguarda l’origine del legno.

I nuovi CAM premiano la presenza di legno strutturale almeno al 20% nelle opere pubbliche. È un passo importante, perché inserisce il materiale dentro il perimetro delle politiche di decarbonizzazione e lo rende leva strategica negli appalti.

Ma la vera sostenibilità del legno non si gioca solo sulla percentuale in struttura o sulla CO₂ contabilizzata in LCA. Si gioca – sempre di più – su dove quel legno viene tagliato, trasformato, trasportato.

Se il boom dell’edilizia in legno italiana si regge in larga parte su materia prima e semilavorati che percorrono migliaia di chilometri, su catene del valore lunghe e opache, su una debole integrazione con la gestione forestale nazionale e locale, allora il racconto della “filiera corta” rischia di rimanere slogan.

Una strategia davvero coerente con l’idea di sviluppo sostenibile dovrebbe chiedersi:

  • quanta parte del valore generato resta sui territori?
  • quanta occupazione stabile crea nelle aree interne, nelle comunità montane, nelle filiere forestali locali?
  • quanto ogni metro cubo impiegato contribuisce a tenere vivi boschi, paesi, economie di prossimità, invece di limitarsi a ottimizzare il costo del pannello?

Il legno “sostenibile”, se vuole essere credibile, dovrebbe essere anche territoriale, tracciabile, legato a una gestione responsabile delle foreste e non solo alla performance del cantiere.

Una filiera davanti allo specchio

L’Osservatorio di Federazione Filiera Legno scatta una fotografia importante di un settore in evoluzione, più grande, più tecnico, più agganciato alle politiche europee e nazionali.

Ma, guardando quella foto, le domande aperte sono ancora molte:

  • Vogliamo un’edilizia in legno che insegua solo i bandi e le scadenze del PNRR, o una che metta al centro la durabilità reale degli edifici e la loro capacità di restare utili per generazioni?
  • Possiamo chiamare “sostenibile” un sistema che non distingue – nei criteri di qualità – tra legno di prossimità che attiva economie locali e legno che arriva dall’altra parte d’Europa o del mondo?
  • Come si intende garantire che la spinta normativa (EPBD, CAM) non si traduca solo in un obbligo formale di percentuali, ma in una filiera che integra davvero foreste, segherie, industrie, territori e comunità?
  • Siamo disposti, come settore, a misurare la sostenibilità non solo sul conteggio delle tonnellate di CO₂ “stoccate”, ma sul valore sociale generato, sulla qualità della manutenzione, sulla capacità di garantire edifici belli, salubri, longevi?

Il 2024 ci consegna un’edilizia in legno finalmente adulta sul piano industriale. Ora la sfida è capire se saprà diventare adulta anche sul piano politico e culturale: capace non solo di vincere gare, ma di tenere insieme clima, territorio, comunità e tempo lungo. Perché costruire in legno, oggi, non può più significare solo fare prima e in modo più leggero. Deve voler dire, soprattutto, fare meglio e più a lungo, con radici piantate nei territori in cui quegli edifici sorgeranno.

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