Il mio percorso verso il successo e la realizzazione della mia missione

Da bambina, mi piaceva giocare a fare la “grande” con i miei fratelli. Assumevamo ruoli come l’uomo d’affari o l’insegnante e preparavamo la scena per ore di elaborata finzione. Uno di noi indossava il cappotto elegante di papà o la gonna di mamma, e ci circondavamo di colleghi o compagni di classe di peluche, pile di scartoffie e cartelle, telefoni giocattolo, lavagne e tazze di finto caffè “molto caldo”. Il nostro concetto di lavoro rispecchiava il percorso professionale dei nostri genitori.

In effetti, l’imprenditorialità non mi è mai passata per la testa: era vista come instabile e troppo rischiosa. La mia strada verso il successo era chiara e mai messa in discussione: diplomarsi, frequentare una buona università, ottenere una o due lauree, e forse anche un master, e trovare un lavoro rispettabile, non troppo distante dalla famiglia di origine, e poi ovviamente sposarsi e avere dei figli.

Ed è esattamente quello che ho fatto… all’inizio; salvo accorgermi molto presto che la strada tracciata per me dai miei genitori mi stava stretta. I confini territoriali e quelli mentali relativi alla mia professione erano troppo stretti per me.

Un tetto massimo e troppo stretto

Fin da dopo il diploma decisi che non volevo aspettare di laurearmi per approcciare al mondo del lavoro. Decisi pertanto di cimentarmi, grazie alla spinta di mio padre,  nella vendita di polizze assicurative, senza dimenticare la mia passione per la scrittura e lavorando pertanto come giornalista pubblicista per un quotidiano locale. Dopo un paio d’anni dall’inizio del mio primo vero lavoro, ho toccato il mio primo vero tetto, un limite! Lavoravo velocemente, ero guidata dalla mia creatività e mi spingevo regolarmente oltre i limiti del mio ruolo e del mio titolo aziendale. non sempre questa intraprendenza era vista in maniera positiva, ma anzi, come tipica di una persona arrogante. Inoltre non c’erano opportunità di crescita, il mio compenso era fisso e, cosa peggiore, mi sentivo del tutto priva di ispirazione.

La mancanza di ispirazione ha determinato per me un punto di rottura: mi rifiutavo di passare un altro minuto a guardare il tempo che passava.

Il Tempo – una risorsa a nostra disposizione

Ho sempre avuto una intensa percezione del tempo come astrazione preziosa e che passa velocemente. Proprio ieri ho rivisto con i miei figli un film che è stato ispirazione di molti miei speech “Collateral beauty”.

Nel film, il monologo del Tempo è un momento significativo e profondo che esplora la natura del tempo e il suo impatto sulla vita umana. Interpretato da Jacob Latimore, che rappresenta il Tempo in forma umana, il monologo è indirizzato al protagonista Howard (interpretato da Will Smith). “Siediti. Voglio raccontarti qualcosa. Io sono il tessuto stesso della vita. Sono il concetto su cui si basa tutto ciò che conosci. Sono l’unica cosa che possiedi veramente. Sono il grande datore di opportunità, ma sono anche il grande ladro. Ti ho dato la tua più grande gioia, e ti ho tolto la tua più grande felicità. Non posso fermarmi, non posso rallentare, non posso andare più veloce. Tutto quello che puoi fare è usarmi. Puoi sprecarmi, puoi prendermi per scontato, ma non puoi ignorarmi. Perché sono sempre qui, che tu lo voglia o no. Sono qui per te, sono qui per tutti, sono il Tempo.”

Il Tempo come risorsa

Questo discorso sottolinea come il tempo sia una presenza onnipresente e inarrestabile nella vita di ogni individuo, influenzando ogni esperienza umana. Il monologo serve a far riflettere Howard sulla sua vita e sul modo in cui sta utilizzando il tempo che gli è stato concesso.

Tornando a me, fin da giovane volevo rendere la mia vita significativa, non solo per me, ma per gli altri e volevo toccare quante più persone possibile, senza confini. Volevo fare qualcosa che fosse significativo e pieno di scintille, che facesse leva sulle mie capacità e passioni e che mi spingesse fuori dalla mia zona di comfort.

Ero determinata a creare un percorso in cui la crescita personale non conoscesse confini. Ho sempre avuto grandi visioni e obiettivi ambiziosi (chi pensa che l‘ambizione sia sbagliata?). Credevo in me stessa, sebbene spesso non avessi una idea chiara di come raggiungere l’obiettivo. Ho provato e fallito molte volte. Ho imparato da chi mi circondava. Ho anche sperimentato incredibili successi, che mi hanno trasformato nel leader che sono oggi.

Le svolte del mio percorso verso il successo

Nel corso degli anni ho indossato diversi cappelli, rivestendo diversi ruoli e cambiando diverse aziende e settori, sempre guidata da un’unica missione: avere un impatto significativo sulla vita delle persone. Quando mi concentro sul mio obiettivo generale, sul mio Perché, di guidare, ispirare, fornire valore ed entrare in empatia, il guadagnare di più o di meno diventa irrilevante.

In tutto questo, mi sono resa conto che la strada per il successo è tutt’altro che semplice; è costellata di colpi di scena, battute d’arresto e trionfi. E ora, mentre guardo i miei figli giocare a fare i “grandi”, il mio cuore è colmo di gioia e ricordi. Creano ruoli intelligenti come imprenditori, inventori, artisti; già mostrano di avere le idee chiare nell’affermare che non percorreranno i passi miei né di loro padre. Preferiscono pensare a lavori più creativi.

Non sono certa quindi che i miei figli seguiranno il percorso tradizionale d’istruzione e le carriere convenzionali, del resto il mondo sta cambiando alla velocità della luce. Ciò che conta davvero è che abbiano il coraggio di sognare in grande, di puntare in alto, di superare i limiti e di capire che, con una determinazione e una perseveranza incrollabili, qualsiasi obiettivo è a portata di mano.

E come afferma Benjamin Disraeli “Il segreto del successo è la costanza del proposito.”

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Puntata del 04/07/24
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