Entrare nel Vittoriale degli Italiani significa varcare la soglia di un mondo dove nulla è lasciato al caso. Tutto, dall’orientamento dei sentieri alla disposizione di un soprammobile, risponde a un disegno preciso: costruire il mito di Gabriele D’Annunzio.
Il cuore del complesso è la Prioria, la casa del poeta, che conserva intatta la sua atmosfera di mistero. Le stanze si susseguono come capitoli di un poema visivo, illuminate da lampade color ambra e coperte da pesanti drappeggi che filtrano la luce. Qui D’Annunzio abitava come in un tempio, tra simboli religiosi e sensuali, tra reliquie cristiane e oggetti pagani, come se la fede e l’estetismo potessero fondersi in una sola religione: quella della bellezza.
La Stanza della Cheli, il suo studio, è una piccola meraviglia di ingegno. Sul soffitto, il guscio di una tartaruga — simbolo della lentezza e della riflessione — ricorda che la creazione artistica richiede tempo e raccoglimento. Sulla scrivania, penne, lettere e piccoli feticci. Qui nacquero le sue ultime opere e i suoi epistolari più intensi.
Poi c’è la Zambra del Misello, la stanza da letto: un rifugio claustrofobico, dove il poeta dormiva in un letto stretto, circondato da simboli di morte e rinascita. Sulle pareti, iscrizioni e motti in latino, come “Genio et voluptati” — al genio e al piacere — che riassume perfettamente il suo credo.
Una delle sale più sorprendenti è la Stanza della Leda, dove un affresco raffigura Zeus in forma di cigno che seduce Leda. Tutto, in questa stanza, parla di eros e mito, di trasfigurazione e desiderio. D’Annunzio amava dire che l’amore, come l’arte, doveva essere vissuto con devozione estetica.
Proseguendo, si incontra il Corridoio della Via Crucis, un passaggio simbolico verso la spiritualità e la memoria, che collega la casa ai luoghi del raccoglimento. In questo percorso, il visitatore avverte la volontà del poeta di unire arte, religione e vita quotidiana in un’unica esperienza estetica totalizzante.
All’esterno, il Vittoriale si apre come un grande teatro all’aperto. I giardini si articolano in terrazze, scalinate, fontane, tempietti e boschetti che D’Annunzio e l’architetto Maroni trasformarono in un percorso simbolico: dal Giardino delle Vittorie fino all’Arengo, la parte più alta del complesso, dove svetta il Mausoleo.
E proprio lì, sulla cima, si compie la teatralità del luogo. Il Mausoleo è una grande rotonda di pietra, un sacrario aperto al cielo, dove il poeta riposa in una tomba di marmo giallo, circondato dai sarcofagi dei suoi legionari. È una composizione solenne, ispirata ai tumuli etruschi e romani, ma anche alle architetture della classicità rivisitate in chiave fascista. Da lassù, lo sguardo abbraccia il lago — e il lago, come in un quadro simbolista, diventa specchio della gloria.
Uno degli elementi più sorprendenti dell’intero complesso è la nave Puglia, vera prua di incrociatore issata su una collina del parco. Fu donata a D’Annunzio dalla Marina Militare e installata lì come simbolo del suo eroismo e del suo amore per il mare. Camminarci sopra è come entrare in una visione: una nave che solca la terra, sospesa tra ironia e apoteosi.
Poco più in basso, il Teatro all’aperto si ispira ai modelli classici greci e romani, ma con una vista che nessun teatro antico avrebbe potuto vantare: il Lago di Garda sullo sfondo, come una quinta naturale di luce e vento. Ancora oggi ospita concerti, spettacoli e rappresentazioni, perpetuando quella fusione tra arte e vita che D’Annunzio aveva voluto imprimere nel luogo.
Nel complesso, il Vittoriale appare come un gigantesco autoritratto architettonico: un museo della personalità, ma anche un’opera d’arte totale. Tutto, dalle stanze agli oggetti, dai giardini ai monumenti, racconta la volontà del poeta di eternarsi, di farsi mito prima ancora della morte.
- D’Annunzio scriveva:
> “Ho voluto che la mia casa fosse come la mia anima: piena di ombre e di luci, di misteri e di echi.”
E il Vittoriale questo è: una casa-anima, un teatro della memoria dove l’arte abita la vita, e la vita — come accade solo ai grandi esteti — non smette mai di recitare se stessa.
🎙️ CHIUSURA – “Abitare come autorappresentazione”
Abitare, per D’Annunzio, non significava semplicemente vivere in un luogo, ma mettere in scena se stesso.
Il Vittoriale è il suo autoritratto più grande: un luogo dove ogni oggetto diventa parola, ogni spazio è un verso, ogni gesto un frammento di memoria.
Ma in fondo, ogni casa parla di chi la abita.
Anche noi, nel disporre le cose, nel scegliere la luce, nel creare un angolo di silenzio o di bellezza, raccontiamo qualcosa di noi — forse senza accorgercene.
Il Vittoriale, con la sua teatralità e il suo eccesso, ci ricorda che abitare è un atto poetico: è dare forma al proprio mondo interiore, lasciando che la materia, i segni e la memoria diventino un racconto.
Così, tra le stanze oscure della Prioria e il riverbero del lago, il messaggio di D’Annunzio ancora risuona:
che vivere può essere un’arte — se si ha il coraggio di farne un’opera.
🎙️ Gabriele D’Annunzio – il poeta che volle fare della vita un’opera d’arte
Per capire il Vittoriale, bisogna prima capire l’uomo che l’ha creato.
Gabriele D’Annunzio nacque nel 1863 a Pescara, in una famiglia borghese benestante. Fin da giovanissimo mostrò un talento precoce per la parola e per la seduzione: scrisse versi, frequentò ambienti mondani, si costruì un’immagine di artista brillante e anticonformista.
A soli vent’anni si trasferì a Roma, dove cominciò la sua scalata nel mondo culturale e politico dell’Italia umbertina. Pubblicò raccolte poetiche come Primo vere, Canto novo e Alcyone, romanzi come Il piacere e Il fuoco, e tragedie teatrali di grande successo. D’Annunzio fu il primo scrittore italiano moderno a capire il potere dei media e dell’immagine pubblica: mise in scena se stesso, trasformando la vita in spettacolo e la parola in mito.
Amava definirsi “l’artista totale”. Nulla gli era estraneo: la letteratura, la musica, l’arredamento, la moda, la politica, la guerra. Ogni ambito diventava per lui materia estetica. Viveva in modo esasperato, cercando sempre la bellezza, l’intensità e l’eccesso.
La sua vita sentimentale fu altrettanto scenografica: numerose le relazioni, la più celebre con Eleonora Duse, grande attrice del suo tempo. Insieme furono coppia e mito, tra amore, arte e rovina.
Morì nel 1938, lasciando al popolo italiano la sua dimora come dono e testamento:
Ø “Offro agli Italiani tutto ciò che resta della mia vita: le mie case, le mie cose, le mie reliquie. Perché esse siano custodi della mia memoria.”
D’Annunzio è stato poeta, romanziere, drammaturgo, soldato, politico, collezionista, amante — ma soprattutto un creatore di sé stesso.
Il Vittoriale, in fondo, non è che la forma materiale di questa volontà di autorappresentazione: un luogo dove vita, arte e mito si confondono, come in un sogno lucido del Novecento.










