Crepet: “Il femminicidio di Martina è lo specchio fedele di ciò che siamo diventati

La società di oggi ha smesso di educare, mentre la politica guarda altrove

Il tragico omicidio della giovane Martina Carbonaro, 14 anni, uccisa ad Afragola dall’ex fidanzato Alessio Tucci, di 19 anni, ha suscitato un’ondata di indignazione in tutta Italia. Ancora una volta una ragazza giovanissima perde la vita per mano di un coetaneo in una relazione malata. Ma mentre l’opinione pubblica si interroga, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, ospite del programma Buongiorno Italia su Casa Radio, smorza lo stupore con una lucidità disarmante:

“Non c’è nulla di sorprendente. È tutto perfettamente coerente con il mondo che abbiamo costruito. Queste tragedie sono la conseguenza diretta di ciò che siamo diventati.”

Un mondo adulto che ha abdicato al suo ruolo

Nel suo intervento, Crepet denuncia un’intera generazione adulta che ha abdicato al ruolo educativo: genitori che non pongono limiti, che vogliono essere “amici” dei figli, che confondono libertà con abbandono.

“Abbiamo trasformato i bambini in piccoli adulti senza mezzi per esserlo. Li lasciamo soli con smartphone e social, e poi ci stupiamo se scambiano l’amore per possesso, la gelosia per sentimento, la violenza per un atto d’amore estremo.”

Crepet sottolinea come il vuoto educativo sia un fenomeno trasversale:

“Da Milano a Napoli, da famiglie benestanti a contesti più fragili, il comune denominatore è l’assenza di un’educazione emotiva e relazionale. Crescono ragazzi incapaci di tollerare la frustrazione, impreparati alla fatica del vivere insieme, alla complessità dei sentimenti.”

Il ruolo pericoloso della tecnologia

Un altro elemento centrale della sua analisi è il ruolo invadente della tecnologia nella vita dei giovani.

“Lo smartphone è diventato un surrogato affettivo. I ragazzi crescono davanti a uno schermo, iperstimolati, disabituati al silenzio, al confronto reale, alla noia. Non parlano più. Comunicano a suon di emoji, di like, di stories. Ma non ascoltano, non comprendono, non sentono.”

Secondo Crepet, il digitale ha innescato una ipersemplificazione emotiva: relazioni consumate in fretta, identità costruite per piacere agli altri, sentimenti senza profondità.

“La cultura del ‘mi piace’ ha sostituito quella del ‘mi importa’. I ragazzi oggi cercano conferme, non relazioni. E quando qualcosa finisce, spesso non sanno gestire la perdita.”

Politica e istituzioni: l’assenza che pesa

Crepet non risparmia critiche nemmeno alla politica e alle istituzioni, accusandole di una paralisi cinica davanti a un problema che si ripete con drammatica regolarità.

“Quando muore una ragazza, tutti si indignano. Si fanno fiaccolate, minuti di silenzio, post su Facebook. Ma poi? Poi niente. La politica resta a guardare. I programmi scolastici non cambiano, i fondi per l’educazione alle emozioni non arrivano, le famiglie non vengono sostenute.”

Per Crepet, servirebbe un piano educativo nazionale che metta al centro la formazione affettiva, il rispetto reciproco, l’educazione al limite, al rifiuto, all’empatia.

“Non è solo una questione di leggi più severe, ma di cultura. Non basta punire chi uccide, bisogna prevenire chi pensa che l’amore giustifichi il possesso. E questo lo si fa a scuola, in famiglia, nei media. Serve una rivoluzione culturale.”

Un dolore che non basta più a svegliarci

Lo psichiatra conclude con un’amara constatazione:

“Siamo diventati una società che si commuove ma non cambia. Abbiamo una memoria emotiva breve. Ci indigniamo per tre giorni, poi passiamo al prossimo caso. Il dolore collettivo si consuma velocemente, senza lasciare tracce concrete.”

E rincara la dose:

“Finché continueremo a stupirci, vorrà dire che non abbiamo capito. Dobbiamo smettere di sorprenderci e cominciare ad agire. Il tempo della retorica è finito. È ora di educare. E per educare bisogna prendersi responsabilità, rischiare impopolarità, scegliere la fatica invece della comodità.”

Ascolta ora il Podcast:

Buongiorno Italia | Paolo Crepet
Intervista del 29/05/25
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