Roma, 31 ottobre 2025 – Il giudice Giuseppe Ayala, già magistrato del pool antimafia di Palermo e amico e collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è intervenuto nel programma Buongiorno Italia di Casa Radio, condotto dal direttore Giovanni Lacagnina, all’indomani dell’approvazione definitiva al Senato della riforma della giustizia che introduce la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti.
Il dibattito politico e istituzionale sulla riforma rimane acceso, con posizioni molto diverse anche all’interno del mondo della magistratura. Ayala, con la sua lunga esperienza da giudice e pubblico ministero, ha espresso un giudizio netto e critico:
“Personalmente sono contrario a questa riforma – ha dichiarato – perché ritengo che non affronti i veri problemi della giustizia italiana. La lentezza dei processi è la vera emergenza: il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa per durata dei procedimenti. Eppure, questa riforma non accorcerà nemmeno di un’ora i tempi della giustizia. La priorità sarebbe dovuta essere quella.”
“Si snatura la figura del pubblico ministero”
Ayala ha sottolineato come il principale rischio della riforma consista nello snaturamento del ruolo del pubblico ministero e nella possibile erosione dell’autonomia della magistratura:
“Il pericolo maggiore – ha spiegato – è lo scollamento tra il giudice e il pubblico ministero. Creare due corpi separati, con due Consigli Superiori della Magistratura distinti, significa frammentare un sistema che finora ha funzionato come un equilibrio di competenze e responsabilità. Ogni corpo avrebbe un proprio organo di autogoverno, e quello dei pubblici ministeri sarebbe composto in maggioranza da pubblici ministeri stessi. È un assetto che rischia di creare una struttura di potere chiusa e autoreferenziale.”
Secondo l’ex magistrato, questa trasformazione potrebbe aprire la strada a un legame più diretto tra il pubblico ministero e il potere politico:
“Non è da escludere – ha aggiunto – che in futuro qualcuno possa proporre di collocare il pubblico ministero alle dipendenze del Ministero della Giustizia, cioè dell’esecutivo. In alcuni Paesi è così, ma nel nostro ordinamento sarebbe un passo indietro enorme. L’autonomia e l’obbligatorietà dell’azione penale sono principi irrinunciabili, voluti dai nostri padri costituenti. Alterarli significherebbe tradire lo spirito della Costituzione.”
“Il sorteggio dei membri del CSM? Una follia mai vista”
Particolarmente critico Ayala anche sulla parte della riforma che prevede la scelta per sorteggio dei componenti dei due Consigli Superiori della Magistratura:
“Non esiste al mondo – ha detto con tono netto – un Paese occidentale dove i membri di un organo di rilevanza costituzionale vengano scelti a sorte. È una cosa che trovo incredibile. Si dice che la misura serva a ridurre il potere delle correnti, ma i magistrati sorteggiati faranno comunque parte di qualche associazione. Di fatto, il legame con le correnti resterà. È una soluzione solo apparente, non una riforma vera.”
Ayala ha ricordato che nella sua carriera ha visto le correnti della magistratura avere un peso, ma non tale da giustificare un intervento così radicale:
“Le correnti esistono e possono condizionare, ma la soluzione non è distruggere l’intero sistema di autogoverno. La riforma rischia di indebolire la magistratura proprio mentre servirebbe più indipendenza, non meno.”
“Falcone e io la pensavamo in modo diverso, ma la cultura comune del diritto deve restare”
Durante la conversazione, il conduttore Giovanni Lacagnina ha ricordato la lunga amicizia e collaborazione tra Ayala e Giovanni Falcone, chiedendogli cosa avrebbe pensato il giudice ucciso nella strage di Capaci di questa riforma.
“Su questo tema – ha risposto Ayala – io e Falcone non eravamo sempre d’accordo. Io credo che la cultura della giurisdizione debba accomunare giudici e pubblici ministeri. Quando ho svolto il ruolo di pubblico ministero, anche in processi molto importanti come il maxiprocesso di Palermo, ho sempre mantenuto la consapevolezza di ciò che un giudice può e non può concedere. Se giudici e pubblici ministeri condividono la stessa formazione e la stessa cultura, il sistema funziona meglio. Separare le carriere significa anche separare queste culture, e questo sarebbe un grave errore.”
Ayala ha ricordato come, nel corso del maxiprocesso, egli stesso chiese anche delle assoluzioni:
“All’inizio dissi che non avrei prodotto un atto d’accusa, ma un progetto di sentenza. Ho chiesto 19 ergastoli e 2.600 anni di carcere, ma anche alcune assoluzioni, perché il pubblico ministero deve perseguire la verità, non la condanna a ogni costo. Questo è lo spirito che rischiamo di perdere.”
“Prima i treni, poi il ponte sullo Stretto”
In chiusura, il magistrato ha commentato anche l’attualissimo tema del ponte sullo Stretto di Messina, che continua a dividere l’opinione pubblica.
“Non credo che questa sia la vera priorità – ha concluso Ayala –. Oggi sarebbe più urgente intervenire sulle infrastrutture interne della Sicilia, a partire dalla rete ferroviaria, dove i tempi di percorrenza sono ancora estenuanti. Prima di pensare al ponte, bisogna garantire collegamenti ferroviari efficienti e moderni.”










