“Artemisia Gentileschi: la forza della pittura, il peso della verità”

Intervista all’avv. Penalista Patrizia Giusti

Benvenuti ad “Abitare l’arte”. Oggi esploreremo la Galleria Spada di Roma attraverso gli occhi di Artemisia Gentileschi, una delle più straordinarie pittrici del Seicento. Due sue opere sono custodite in questa galleria: “Santa Cecilia” e “Madonna col Bambino”. Ma dietro queste tele si cela una storia di talento, coraggio e resilienza. Oggi, percorreremo insieme il viaggio artistico e personale di Artemisia, intrecciando le sue opere con gli eventi che hanno segnato profondamente la sua vita.

Artemisia nasce a Roma nel 1593, figlia del pittore Orazio Gentileschi. Fin da giovane mostra un talento straordinario, superando le barriere imposte alle donne dell’epoca. Tuttavia, la sua vita prende una svolta drammatica nel 1611, quando viene violentata da Agostino Tassi, collega del padre. Il processo che ne segue è uno dei più noti dell’epoca, rivelando non solo la brutalità dell’atto, ma anche la forza e la determinazione di Artemisia nel cercare giustizia.

La Galleria Spada ospita due opere attribuite ad Artemisia:

 “Santa Cecilia”: Un’opera che ritrae la santa patrona della musica in un momento di estasi spirituale. La delicatezza dei tratti e l’intensità dello sguardo riflettono la profondità emotiva che Artemisia riusciva a infondere nei suoi soggetti femminili.

“Madonna col Bambino”: Un dipinto che mostra la Vergine Maria con il Bambino Gesù, caratterizzato da una tenerezza materna e una composizione armoniosa. Anche se l’attribuzione è dibattuta, lo stile e la sensibilità artistica richiamano fortemente la mano di Artemisia.

Queste opere non solo testimoniano il talento di Artemisia, ma anche la sua capacità di rappresentare la femminilità con una profondità e una dignità rare per l’epoca.

Il processo contro Agostino Tassi fu un evento straordinario per l’epoca. Artemisia, nonostante le umiliazioni e le torture, mantenne la sua versione dei fatti con coraggio. Durante l’interrogatorio sotto tortura, le sue parole risuonarono con forza:

   “È vero, è vero, è vero. Questo è l’anello che mi dai, e queste sono le promesse!”

(Fonte: Artemisia Gentileschi – Artemisia Gentileschi)

 Queste parole, pronunciate mentre le venivano stritolate le dita, mostrano la determinazione di Artemisia nel cercare giustizia, nonostante il rischio di perdere l’uso delle mani, essenziali per la sua arte.

Dopo il processo, Artemisia si trasferisce a Firenze, dove continua la sua carriera artistica. Una delle sue opere più celebri, “Giuditta che decapita Oloferne”, realizzata tra il 1612 e il 1613, è spesso interpretata come una risposta simbolica alla violenza subita. La forza e la determinazione di Giuditta nel dipinto riflettono la resilienza di Artemisia e la sua capacità di trasformare il dolore in arte.

Artemisia Gentileschi è oggi riconosciuta non solo per il suo talento artistico, ma anche per il suo coraggio e la sua determinazione. Le sue opere continuano a ispirare e a testimoniare la forza delle donne nell’arte e nella vita. Vi invitiamo a visitare la Galleria Spada per ammirare da vicino le sue opere e a riflettere sulla storia di una donna che ha saputo trasformare la sofferenza in bellezza.

APPROFONDIMENTO:

I capi d’accusa

1. Violenza carnale (stupro di Artemisia).

2. Diffamazione e falsa promessa di matrimonio (perché Tassi aveva promesso di sposarla dopo l’atto).

3. Cospirazione e comportamento indegno (Tassi avrebbe anche progettato l’omicidio della moglie, secondo alcune testimonianze).

 

La procedura

• Il processo fu istruito davanti al Tribunale criminale del Governatore di Roma.

• Durò diversi mesi (primavera–estate 1612).

• Artemisia testimoniò più volte e subì la “tortura della sibilla”: venivano strette le corde intorno alle dita per verificare la veridicità delle sue parole (metodo inquisitorio per “provare” la sincerità di chi deponeva).

Passaggi significativi degli atti processuali

1. La testimonianza di Artemisia

“Mi ha gettata sopra, mi ha chiusa la porta a chiave, mi ha gettata sopra, mi ha messo una mano sul petto per tenermi ferma, e con l’altra mi ha levato la camicia, e con ginocchia e gambe mi teneva ferma.”

Una narrazione coerente, dettagliata e ripetuta con fermezza.

2. La reazione sotto tortura

“È vero, è vero, è vero.”

(mentre le stringono le corde alle dita)

Dimostra il rischio fisico che Artemisia accetta pur di confermare la verità, con una forza emotiva straordinaria.

3. Tassi cerca di discolparsi

Non fu violenza, ma consenso.”

Sostiene che Artemisia fosse consenziente, basandosi sul fatto che lei lo avrebbe invitato più volte.

Ma viene smentito da varie testimonianze, compresa quella della domestica di casa Gentileschi, Tuzia.

4. Il ruolo della promessa di matrimonio

All’epoca, se uno stupratore sposava la vittima, il reato poteva decadere. Tassi promise il matrimonio, ma poi negò ogni impegno. Questo aggrava la sua posizione.

Esito

• Tassi fu condannato a 2 anni di carcere e all’esilio da Roma.

• La pena fu presto commutata e non scontò completamente la condanna.

• Artemisia, invece, fu socialmente esposta e lasciò Roma poco dopo, iniziando la sua carriera indipendente a Firenze.

 

 

 

Ascolta ora il Podcast:

ABITARE L’ARTE | Artemisia Gentileschi
Puntata del 16/06/25
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