Con Pippo Baudo se ne va anche un’epoca della Televisione che non tornerà mai piu .
Ci sono addii che non sono solo personali, ma collettivi. Non si piange solo un uomo, ma un tempo, un modo di essere, una forma di vivere e raccontare il mondo. La morte di Pippo Baudo è uno di questi addii. È il tipo di notizia che lascia un silenzio strano, sospeso, come quando si spengono le luci in uno studio televisivo che sembrava non doversi mai fermare.
Pippo Baudo non era solo un conduttore. Non era solo uno dei volti più riconoscibili della Rai, o l’uomo dei record di Sanremo. Pippo Baudo era la televisione italiana. Non in senso figurato, ma letterale. Era il ritmo, la grammatica, lo stile, l’anima stessa di un mezzo che, per decenni, è stato lo specchio e il motore culturale di un intero Paese.
La sua voce, il suo modo di stare in scena, la sua presenza autorevole e inconfondibile hanno attraversato almeno tre generazioni. È stato un punto fermo in un’Italia che cambiava: da quella in bianco e nero del Dopoguerra, curiosa e affamata di novità, a quella colorata degli anni ’80 e ’90, in bilico tra modernità e nostalgia. E in ogni epoca, Baudo c’era. Non solo c’era: guidava, tracciava la strada, alzava l’asticella.
Era il professionista che sapeva ogni dettaglio, che non lasciava nulla al caso. Il perfezionista inflessibile, il direttore d’orchestra che voleva tutto sotto controllo, ma anche l’uomo capace di intuire – in pochi secondi – se davanti a lui c’era un talento da coltivare o una meteora da lasciar andare. E i nomi che ha lanciato parlano per lui: da Laura Pausini ad Andrea Bocelli, da Giorgia a Lorella Cuccarini, da Heather Parisi a Fiorello. Per molti, un’apparizione accanto a Baudo non era solo un’occasione: era un battesimo, una consacrazione.
Ma ciò che rende oggi la sua perdita così profonda è che con lui se ne va un’idea di televisione che non esiste più, e che forse non potrà più esistere. Una televisione fatta di studio, di disciplina, di passione artigianale. Una televisione che cercava di unire, di tenere insieme il colto e il popolare, il grande spettacolo e la riflessione, l’intrattenimento e il servizio pubblico. Pippo Baudo non rincorreva il pubblico: lo educava, lo sfidava, lo rispettava.
E oggi che quella voce si è spenta, ci accorgiamo che se ne va anche una parte importante della nostra identità collettiva. Un pezzo del nostro immaginario nazionale. Con lui, cala davvero il sipario su un’epoca che ha segnato nel profondo la cultura popolare italiana, e che sarà difficile – se non impossibile – replicare.
In un mondo dove tutto corre, dove tutto si brucia in un lampo, Pippo Baudo era un’ancora, una figura solida e rassicurante, capace di costruire nel tempo. Capace di attraversare le stagioni senza mai diventare fuori luogo. Sempre attuale, anche quando sembrava appartenere a un’altra era, perché portava con sé la coerenza e il rigore del vero professionista.
E allora sì, con Pippo Baudo muore un’epoca. La più grande.









