Certi incontri che ti costringono a rallentare. A togliere la maschera, e a guardarti dentro. La puntata con Hypnos, al secolo Gilberto Di Benedetto, è stata questo: un viaggio ai confini del visibile. Psicologo, psicoterapeuta, artista metafisico, Hypnos dipinge quadri che aprono varchi. Emiliano Cioffarelli ed Angelica Bianco lo hanno incontrato.
Michael’s Gate ti sembra soltanto una tela? È una soglia. Un punto di passaggio tra coscienza e inconscio, tra materia e spirito, tra arte e identità. Un’opera che ha qualcosa di mistico e qualcosa di algoritmico. Densa di simboli, ed è il primo quadro firmato con il DNA dell’artista. Letteralmente. Un gesto potente, che ci porta in territori nuovi: l’arte come espressione dell’identità genetica, come documento vivo, come certificazione autentica dell’io profondo.
Durante l’intervista, Hypnos ci ha fatto riflettere sul valore dell’immagine come strumento di trasformazione. Comunicazione, estetica e trasformazione vera. La pittura, secondo lui, agisce sull’inconscio collettivo, parla un linguaggio che bypassa le parole per toccare direttamente le emozioni primarie.
E qui il collegamento con l’intelligenza artificiale è stato inevitabile. Se l’IA deve aiutarci a esplorare questi spazi dell’invisibile, non può farlo da giudice, né da maestro. Deve essere un testimone silenzioso, uno specchio che osserva senza invadere. Un alleato, non un invasore.
Centrale il riferimento alla mimica orofacciale e al lavoro di Rizzini, che ha elaborato una grammatica emozionale basata sulle espressioni e sui micro-movimenti. Il volto umano diventa un linguaggio, e l’IA può imparare a leggerlo, a rispecchiarlo, persino a stimolarlo. Ma il rischio è dietro l’angolo: una tecnologia così potente può essere usata anche per manipolare, per invadere spazi intimi. Ecco perché il nodo etico non è un optional. È la vera questione politica del nostro tempo.
Michael’s Gate, allora, è anche un esperimento sociale. Una sfida lanciata all’epoca della falsificazione digitale, dell’identità liquida, della truffa diffusa. Firmare con il genoma diventa un atto di verità, un’ancora di autenticità.
Ma c’è dell’altro. L’opera è uno specchio emotivo. Alcuni vi vedono il paradiso, altri l’inferno. Alcuni restano turbati, altri toccati nel profondo. Perché non è la tela a cambiare: siamo noi. L’opera, come l’inconscio, riflette ciò che non vogliamo vedere. E questa, forse, è la sua forza più grande.
Siamo partiti parlando di arte e siamo arrivati a parlare di futuro, di identità, di etica. E, alla fine, di noi. Perché, come ci ha detto Hypnos, non siamo più solo spettatori dell’arte. Siamo parte dell’opera. Anche col nostro DNA.
E allora, a chi ha il coraggio di guardare oltre la superficie, questa puntata lancia un invito chiaro: attraversare quella soglia. Il resto, sarà irrimediabilmente trasformazione.








