Via Margutta, la strada dell’arte per eccellenza nel cuore di Roma, il 10 dicembre si prepara a cambiare pelle. Non soltanto quadri, tele e sculture: tra le pareti di una galleria al civico 90 sfileranno abiti disegnati da studenti degli istituti di moda statali, accanto a pezzi di design nati da tessuti che raccontano la periferia romana.
È il cuore di “ARMODE”, progetto firmato dall’architetto Daniela Covato, che mette insieme arte, moda e design in un unico racconto, con un obiettivo chiaro: dimostrare che la creatività non è un lusso per pochi, ma un terreno di crescita e di inclusione aperto a tutti.
«Il nome ARMODE nasce proprio da arte, moda e design», spiega l’Arch. Covato. Non un semplice gioco di parole, ma la sintesi di una visione: «Questi tre elementi sono inscindibili, non vivono l’uno senza l’altro. Nel mondo questo connubio esiste già da tempo, siamo noi, qui, ad arrivare un po’ in ritardo». L’appuntamento di mercoledì 10 dicembre alle 18.30 vuole colmare proprio quel ritardo, portando nel pieno centro storico temi, volti e storie che nascono ben lontano dalle vetrine patinate.
Dai grandi brand alla “periferia creativa”
L’idea di ARMODE prende forma a partire da un paradosso molto italiano: siamo il Paese dei grandi marchi della moda e del design, ma spesso la filiera della creatività resta chiusa in cerchie ristrette, geografiche ed economiche. Arch. Covato parte da qui, guardando ai colossi che già oggi mescolano fashion, allestimenti e arredi: «Mi sono ispirata ai grandi brand che nella moda cavalcano il design e portano l’arte nelle loro collezioni. Ma lì parliamo di nomi giganteschi. La sfida era dimostrare che si può fare anche tra di noi, nel quotidiano, nel mondo “normale”».
Il progetto ribalta la logica tradizionale: non è più la moda a usare l’arte come supporto scenografico, ma è il design a generare un racconto che diventa tessuto, abito, passerella. Si parte da un tema pittorico, si attraversa il territorio urbano, si arriva alle periferie. L’estetica non è neutra: parla dei quartieri di margine, di palazzi e incroci che spesso restano fuori dalle cartoline di Roma, ma che sono parte viva della città contemporanea.
Il laboratorio con gli istituti statali: abiti “Urban” e tessuti che raccontano Roma
Per trasformare questa visione in un progetto concreto, i’Arch. Covato coinvolge istituti di moda statali, e non scuole private d’élite. Una scelta precisa, politica prima ancora che estetica. A Roma il lavoro si concentra sull’Istituto Alberti, dove è partito un vero e proprio laboratorio: ai ragazzi vengono forniti tessuti stampati con frammenti di opere che rappresentano la periferia romana.
Alla base c’è una collaborazione con un altro studio di architettura, Loft Canova, che aveva già sviluppato un progetto fotografico e artistico dedicato alle periferie della Capitale. Da quelle immagini sono state estratte porzioni, motivi, segni grafici; il materiale è stato poi stampato, grazie al sostegno di aziende sponsor del mondo tessile e del design.
Il tema scelto per la prima sperimentazione è “Urban”: linee di skyline, scorci, dettagli di palazzi e strade finiscono sulle stoffe, che i giovani stilisti trasformano in abiti, cappotti, giacche, accessori. Il risultato è una collezione che porta in sfilata non un’idea astratta di città, ma la città reale vissuta ogni giorno dagli stessi ragazzi che disegnano e cuciono.
Dal B-CAD alla galleria di via Margutta: la seconda tappa del percorso
ARMODE non è un episodio isolato. Due anni fa il progetto ha avuto una prima consacrazione all’interno del B-CAD, manifestazione di rilievo dedicata al design ospitata alla Nuvola dell’Eur. In quell’occasione la collezione “Urban” è stata presentata in pubblico, ottenendo una premiazione che ha dato fiducia e slancio a studenti e organizzatori.
Accanto alla moda è entrata in scena l’azienda di design Demadesign, con sede a Firenze, che ha realizzato oggetti e complementi d’arredo su misura: tra questi una poltroncina dal profilo morbido, avvolgente, che richiama il celebre Pac-Man e che l’Arch. Covato e i suoi collaboratori hanno ribattezzato “Pac-Chair”. Prototipata durante l’esperimento laboratoriale, la seduta è ora in dirittura d’arrivo verso la produzione in serie, customizzata con i tessuti nati dal progetto.
Il buon esito del B-CAD ha portato a un passo ulteriore: spostare il baricentro nel luogo simbolico dell’arte romana, via Margutta, e far entrare la moda e il design contemporaneo dentro una galleria. Mercoledì 10 dicembre, al civico 90, il pubblico troverà una sfilata, un percorso espositivo di oggetti di design e la presentazione del libro della professoressa Valeria Magistro, docente universitaria e degli istituti di moda, che ha dedicato un volume proprio al rapporto tra urbanità e moda.
La cura dell’evento per la Galleria d’arte “Area Contesa” è affidata agli architetti Giorgio Mitrotta e Tiziana Pecoraro, che affiancano l’Arch. Covato ed il socio Arch. SImone Cellitti in questa operazione culturale. In passerella sfileranno, tra gli altri, alcuni giovanissimi stilisti emergenti: Giordano, Aurora, Lorenzo e Marco, i cui nomi l’architetta cita con orgoglio, a testimonianza del fatto che l’obiettivo principale è “dare luce ai ragazzi”, più che accendere i riflettori su se stessi.
«L’arte è di tutti»: quando moda e design diventano inclusione
Nell’immaginario comune, il binomio moda–design è sinonimo di lusso. Atelier irraggiungibili, oggetti da collezione, prezzi riservati solo a una fascia ristretta di pubblico. L’Arch. Covato capovolge questa narrazione partendo da un principio semplice: «L’arte è di tutti, appartiene all’animo umano e alla creatività umana. Non ha ceti sociali».
Il discorso si allarga alla quotidianità: «L’abito che indossiamo è il primo comfort della pelle. L’edificio è il comfort di più persone. La città è il comfort di tanti edifici abitati. Tutto è collegato». In questa catena, la moda e il design smettono di essere “campi separati” e diventano strumenti di inclusione sociale: passaggi attraverso i quali far emergere talenti, creare lavoro, costruire appartenenza.
«La moda è per tutti, il design è per tutti e non mollate mai», è il messaggio finale con cui l’Arch. Covato si rivolge ai ragazzi. Una frase che sintetizza la filosofia del progetto: l’ambizione non è un privilegio, ma un motore che, se accompagnato da opportunità concrete e spazi adeguati, può trasformarsi in professione.
Giovani, schermi e laboratori: la sfida degli spazi che mancano
Al centro di ARMODE c’è anche una riflessione sul rapporto tra giovani e tecnologia. L’Arch. Covato non demonizza il digitale, ma ne sottolinea l’abuso: «C’è un eccesso nell’uso dei device, un appiattimento generale». I laboratori di moda e design diventano allora il luogo in cui distogliere lo sguardo dallo schermo e tornare a usare le mani, la matita, la macchina da cucire, l’intuizione creativa.
I ragazzi coinvolti nel progetto, racconta, vivono una routine che smentisce gli stereotipi dell’“adolescente svogliato”: «Si impegnano moltissimo, escono di casa prestissimo la mattina, come noi adulti, e lavorano fino a tarda notte su disegni e prototipi. Non è una caratteristica comune a tutti, e proprio per questo meritano sostegno».
Ma il nodo non è solo individuale, è strutturale. A Roma – e in gran parte d’Italia – mancano spazi fissi dove i giovani possano riunirsi, progettare, sperimentare, studiare insieme. «Spesso mia figlia, che studia moda, è costretta ad andare nelle biblioteche universitarie di altri atenei per trovare un luogo adatto allo studio e alla creatività», osserva l’Arch. Covato.
Il confronto con la Francia è impietoso: «Lì all’interno dei musei ci sono aree dedicate ai ragazzi, dove studiano, fanno laboratori, lavorano. I musei sono davvero aperti a tutti». Roma, insiste, ha «mille volte più possibilità» di tante realtà europee, ma deve ancora tradurre questo potenziale in politiche di spazi e servizi per le nuove generazioni.
Roma, Milano e l’Ordine degli Architetti: una città da “aprire”
Un altro fronte su cui ARMODE prova a incidere è la cultura professionale delle città. L’Arch. Covato non nasconde che, su questi temi, Milano sia più avanti: «Il capoluogo lombardo cavalca già da tempo progetti che intrecciano fashion e design. Lavora sul fashion e poi lo ribalta sul design».
Il progetto romano tenta il percorso inverso: partire dal design per arrivare alla moda, coinvolgendo l’Ordine professionale. All’interno dell’Ordine degli Architetti di Roma si è insediato un nuovo Consiglio e, con esso, una Commissione innovazione, design e Made in Italy di cui l’Arch. Covato guida i lavori. Obiettivo: trasformare esperienze come ARMODE in corsi formativi, workshop, programmi stabili, che mettano in relazione architettura, moda, artigianato, industria
È un tassello in più in un mosaico che riguarda da vicino anche il tema della rigenerazione urbana. Il pubblico di Casa Radio – che ha dedicato uno speciale all’evento – è formato in gran parte da architetti, ingegneri, urbanisti. A loro arriva un invito implicito: quando si progettano nuovi quartieri o si recuperano porzioni di città, non basta prevedere «giardinetti, piccole aree di sosta o solo il residenziale sociale obbligato». Servono luoghi di produzione culturale, laboratori, atelier condivisi, dove i ragazzi possano crescere e generare contenuti.
Le prime ricadute: ordini, richieste e biglietti da visita
ARMODE, intanto, qualche risultato concreto lo ha già prodotto. Gli studenti che hanno partecipato al laboratorio hanno dovuto creare i loro primi biglietti da visita: «Alla prima manifestazione sono arrivare richieste sui loro abiti – racconta l’Arch. Covato – e alcune persone hanno chiesto di poterli ricontattare per lavori futuri».
Anche sul fronte del design le ricadute sono tangibili. La già citata poltroncina “Paccher”, sviluppata con Demadesign, ha suscitato l’interesse di diversi interlocutori. Il primo ordine è arrivato proprio da Casa Radio, che ha chiesto una versione rossa da collocare in studio, trasformando così un prototipo nato in laboratorio in un’icona d’arredo destinata a un luogo pubblico.
È il segnale di come un progetto nato tra banchi di scuola, computer e macchine da cucire possa entrare nel circuito reale di mercato, pur mantenendo la sua natura sperimentale e collettiva.
L’appello alle istituzioni e al mondo produttivo
Se il progetto punta a fare da ponte tra formazione, professioni e impresa, un ruolo decisivo spetta alle istituzioni e al mondo produttivo. ARMODE prova a costruire una rete che coinvolga scuole, aziende, ordini professionali, media.
Le aziende che hanno patrocinato la stampa dei tessuti, le gallerie che aprono le porte ai giovani, le radio che raccontano questi percorsi sono, nelle intenzioni dell’Arch. Covato, i primi nodi di una possibile “filiera dell’inclusione creativa”: non solo sponsorizzazioni spot, ma collaborazioni ripetute, che permettano ai ragazzi di rimettersi alla prova anno dopo anno, di vedere il proprio lavoro crescere e migliorare.
Sul tavolo c’è già l’idea di estendere il format ad altre città, di replicare l’esperienza con nuovi istituti, di ampliare il confronto con realtà internazionali. Il passaggio di ARMODE per via Margutta vuole essere, anche simbolicamente, una sorta di “esame di maturità” del progetto: se funziona qui, nel cuore dell’arte storica romana, può funzionare in molti altri contesti.
L’appuntamento di via Margutta e un messaggio per i ragazzi
Mercoledì 10 dicembre, dalle 18.30, la galleria di via Margutta 90 diventerà un crocevia di sguardi: genitori, studenti, professionisti, curiosi, turisti. Sfileranno gli abiti nati nei laboratori, saranno esposti oggetti di design, verrà presentato il libro di Valeria Magistro, si discuterà di come costruire nuove alleanze tra scuole, imprese e professioni.
Molti degli ascoltatori di Casa Radio – in particolare dalla Sicilia, regione d’origine dell’architetta – hanno già annunciato la loro presenza. «Sono invitati e benvenuti tutti, da qualunque parte d’Italia e oltre», assicura l’Arch. Covato.
Il messaggio che vuole lasciare ai ragazzi è chiaro: «L’ambizione appartiene a tutti, la realizzazione anche. Tutto ciò che dipende da noi stessi può avere compimento». L’arte, la moda e il design, in questa prospettiva, non sono solo estetica: sono strumenti di emancipazione, di crescita, di cittadinanza attiva.
A via Margutta, tra tessuti stampati, poltroncine “Paccher” e bozzetti di periferia, mercoledì non si guarderà solo a una sfilata. Si vedrà, in filigrana, un tentativo di ridisegnare il rapporto tra giovani, città e futuro: una passerella che porta dalle aule scolastiche al mondo reale, dalla periferia al centro, senza dimenticare nessuno lungo il percorso.









